(riveduto ed ampliato – dicembre 2004)
Album con i 444 disegni di ancore
Il problema dell’immobilizzo
dell’imbarcazione -la quale galleggia e si muove su di un fluido che non
presenta attrito o resistenza utilizzabile a tale scopo- è stato risolto
nell’alta antichità in maniera molto semplice, legando cioè l’imbarcazione ad un
sasso quand’essa si trovava sufficientemente vicino alla costa, oppure
portandosi dietro il sasso che, legato ad una corda e gettato nel momento del
bisogno sul fondale, assicurava un punto sufficientemente fermo grazie
all’attrito determinato dal proprio peso secondo il principio dell’ancora a
gravità.
Le più antiche testimonianze
si trovano in Egitto e risalgono agli anni
A cominciare dall’Odissea di
Omero, la letteratura greca e romana fa spesso cenno alle pietre di fondo,
a lungo impiegate e trovate numerose, ascrivibili fino al primo millennio d.D., usate anche dai Vichinghi e, in etnografia, da molte
popolazioni fino ai giorni nostri.
Figura 1-Cipro. Ancora litica a gravità di epoca enea
Pratica
equivalente e di maggior maneggiabilità è stato l’uso
dei cesti pieni di sassi o di sabbia, come testimoniato da Eschilo. Ma
l’affidabilità di simili mezzi, com’è facile intuire, era assai scarsa per cui
il navigante si industriò presto di conferire al sasso una forma appropriata
con l’aggiunta di elementi, per lo più di legno, capaci
di esercitare una certa presa sul fondale in aggiunta all’effetto gravità. È
inutile cercare appigli cronologici in questa evoluzione verificatasi un po’
dovunque. J.B.Bury (Storia dei Greci) afferma,
contestabilmente, che al tempo di Esiodo, circa nel
Figura 2-Ricostruzione ipotetica di
ancora litica a gravità
È con lo sviluppo e la
diffusione dell’archeologia subacquea che il quadro si fa più chiaro. L’ancora veniva
perduta facilmente e un gran numero di esemplari giace ora sui fondali marini
lungo le rotte dell’antichità.
Del primo millennio è
l’ancora a forma di piramide appiattita appartenente alla colonia fenicia di Motya in Sicilia e non pochi sono gli esemplari trovati nei
palazzi di Cnosso e di Mallia
nell’isola di Creta, via via fino alle ancore di Capo
Miseno, di Pozzuoli, delle navi di Nemi per quanto
riguarda l’area mediterranea, nonché delle navi vichinghe per l’area
dell’Europa Settentrionale.
La sostituzione del sasso
omerico (eunè) con l’ancora capace di mordere il
fondale dev’essere considerata frutto di
un’evoluzione assai lenta e graduale. Eschilo testimonia che, al suo tempo, i
naviganti non nutrivano molta fiducia nello “star sull’ancora” (en ankyruxiais).
Il legno, materia facilmente
lavorabile anche se deperibile, diventava primo elemento costitutivo
dell’ancora, legno che necessitava di essere appesantito con sbarre di pietra o
di piombo. Secondo l’interpretazione di F.Moll (il
primo a seguire studi approfonditi sulle ancore antiche eliminando le tortuose
interpretazioni di altri studiosi condotte su testi di
Ateneo e di Diadoro) sono stati inizialmente i Greci
a colare il piombo a forma di T. Nella nave di Mahdia,
risalente al primo secolo a.C., la traversa misurava più di
Figura 3-Sardegna. Ceppi di piombo con
scritta greca (invocazione alla fortuna)
In seguito, si applicarono al
fusto due bracci simmetrici (dìstomos o amfìbolos) terminanti con patte triangolari consententi una
presa più sicura. All’estremità superiore del fusto veniva sistemato un anello
di corda o di metallo per la fune di ritenuta; un altro anello, nella parte
opposta, sotto il diamante, serviva per facilitare la manovra di ricupero (grippiale). Ma solo i reperti del Lago di Nemi, venuti alla
luce nel corso di una delle più grandi opere di archeologia navale, hanno
chiarito definitivamente, o quasi, la morfologia dell’ancora antica
mediterranea. Non esiste accordo tra gli antichi autori in merito all’inventore
dell’ancora di ferro. Plinio indica il greco Eupalamo;
Pausania ritiene che sia Midia, re della Frigia. L’aggiunta del secondo braccio
sarebbe stato un perfezionamento introdotto dal filosofo scita Anacarsi, e su questo punto sono d’accordo Strabone e Plinio: eadem
(ancoram)bidentem (additit) Anacharsis.
Ancore metalliche sono
conosciute certamente agli inizi del 7 secolo a.C. secondo
quanto indicato da F.Bury grazie ad un reperto
da lui studiato. Altri ritengono che l’ancora metallica sia stata introdotta in
Europa dagli Sciti secondo la testimonianza dello stesso Anacarsi
tratta da un viaggio da lui effettuato nel
La teoria secondo la quale
furono i Greci ad introdurre l’uso dell’ancora fin dalla prima antichità si
basa sul fatto che il termine ancora deriva dalla parola greca ancyra attestata in Pindaro nel
Un’ancora romana di ferro è
stata trovata nel 1852 sul lido di Pompei: ha il peso di
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Fig.4 - Ricostruzione di ancora
romana lignea del Lago di Nemi. Lunga m. 5,5 |
Fig. 5 - Ancora romana di ferro, con ceppo mobile,
trovata nel 1857 sull’antico lido di Pompei |
Fig. 6 – Cesarea, grande ancora ritenuta romana, ma
probabilmente di galea |
Nel 1930 era stata trovata
nel lago di Nemi la seconda e più grande ancora, di
legno di quercia con bracci a V, unghie di ferro, ceppo di piombo e resti di
cavo d’ormeggio di
L’ancora entrava nella
simbologia corrente fin dalla prima antichità condividendo con gli oggetti del
viver quotidiano il concetto di rappresentatività o di sacralità che
assicuravano scaramanzia e protezione rispetto ai fatti ed eventi pericolosi ed
eversivi.
Dell’ancora come ex-voto si è
già fatto cenno.
Molto estesa la simbologia
greca e romana con rappresentazioni di vario tipo: monete, sigilli, anelli,
medaglie, graffiti, tessere, insegne che servono a fissare con
particolareggiata evidenza la tipologia, molto più accuratamente di quanto
avvenga attualmente. È grazie a ciò che si dispone oggi, assieme ai reperti
archeologici in scala reale, di informazioni pressoché complete contrariamente
a quanto avviene in sede tecnica riguardo la nave
coeva, per la quale sussistono estese parti totalmente incognite. Dalla tomba
del faraone egizio Shru-Re della Va dinastia (2563-
Divenuta simbolo della
speranza, la figura dell’ancora si diffondeva, in tutta Europa, frequentemente
incisa sulle tombe protocristiane al posto del segno
della croce, soggetto a persecuzione, come speranza di resurrezione. In epoca
medioevale figurava come stemma militare e come marca di casata. In Inghilterra
appariva comunemente nei segnali e negli avvisi marittimi, su insegne, bandiere
e fregi vari. In araldica significava verità, fedeltà, prudenza, costanza,
speranza. È inutile dire che l’ancora è costantemente presente nei fregi di
grado e di specialità delle divise militari di tutte le marine.
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Fig.7 - Ancora di ferro dell’alto medioevo |
Fig. 8 - Ancora di ferro della fine del primo millennio |
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Fig. 9 - Spagna, antiche ancore del monumento agli antichi
navigatori nella Baia di Vigo |
Fig. 10 - Ancora di galeone (sec. XVII) |
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Ma tutti i perfezionamenti di
cui si è fatto cenno non davano ancora sufficienti garanzie (che, in via assoluta,
non esistono neanche oggi). Le navi erano munite, perciò, di un buon numero di
ancore sia a prua che a poppa: la famosa mitica Alexandreia
di Gerone di Siracusa, come testimoniato da
Ateneo, ne imbarcava quattro di legno e otto di ferro. Ciò era determinato
anche dal fatto della facilità con le quale le ancore
potevano perdersi o lesionarsi venendo meno alla loro funzione.
Determinante per la
funzionalità è il ceppo, opposto ai bracci e ruotato di 90 al fine di impedire
il coricamento dei bracci stessi sul fondale. È curioso notare che, in
Occidente, il ceppo veniva inserito sotto la cicala mentre in Estremo Oriente
poco sopra i bracci. Ma l’ancora con ceppo occupava molto spazio a bordo e
richiedeva manovre poco spedite proprio quando sarebbe stato necessario il
contrario. Bisognava trovare un rimedio ed è interessante notare che già i
Romani, o meglio gli Ellenici e gli Egizi, che armavano il nerbo della flotta,
introdussero la pratica del ceppo mobile, ripiegabile, come testimoniato dai
reperti del lago di Nemi (12 d.C.). Anche un esemplare di ferro, trovato a
Cervia e risalente al IV sec. d.C. reca sotto la cicala la sede per il ceppo
mobile, andato perduto.
Tutto ciò non era casuale ma
frutto di osservazioni pratiche e di esperienza, che ad un certo momento non
erano più sufficienti. Primo ad occuparsene in sede teorica intorno alla metà
del 1600, è stato il padre Fournier, che ha
teorizzato essere la forma dell’ancora più importante del peso, indicato
comunque in 110 libre ogni 20 tonnellate di nave. Lefevre
de Chessenag fissava le proporzioni intercorrenti tra
le varie parti costituenti l’insieme. Il primo studio teorico fisico-matematico
compariva in Francia nel 1723 e le condizioni di resistenza venivano
determinate inizialmente, sempre in Francia, nel 1810 sulla base di una
pubblicazione del 1801 di Richard Pering. Nello
stesso 1810 compariva in Inghilterra il Chain,
Cables and Anchors Act che rendeva obbligatori i controlli ed i collaudi a
carico dei fabbricanti. Hanibal, Perter
e Trotman studiavano l’ancora con braccia a movimento
laterale (1840). Secondo l’“Enciclopedia Britannica” il braccio mobile era
adottato in Inghilterra già nel 1813 attribuendo l’innovazione al segretario
del cantiere di Plymouth, Pering. Il primo brevetto, Hawkins, sarebbe del 1821.
Gli studi si moltiplicano e
un trattato completo di tecnica e pratica veniva pubblicato, in Francia, nel
Il ceppo mobile rappresentava
una soluzione sufficientemente soddisfacente nel tipo detto ammiragliato inglese
secondo un modello messo a punto tra il 1846 ed il 1852 dai capitani Rodger e Aylen, che ha incontrato
tanta fortuna da perdurare, sia pur per impieghi particolari, fino ai giorni
nostri, talvolta riveduto nel disegno.
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Il passo decisivo verso
l’ancora moderna si compiva con l’eliminazione del ceppo. Il primo brevetto Hawkins (stockless) compariva nel
1821, ulteriori passi venivano compiuti da Lowe nel
1822-23. La mobilità delle braccia sul piano trasversale interessava Since Baxler nel 1855 ma la
soluzione veramente soddisfacente è appena del 1910 col brevetto Hall dal quale
deriva un gran numero di tipi ispirati al suo principio, i più noti e diffusi
dei quali la W.S. Wasteney Smith, la Byers, la Iglefield,
la tedesca Tyzack, le italiane Ansaldo, Torino, S.Giorgio, Fonderia Milanese Acciaio, le francesi Samuel
Taylor, Turbot e Marsel.
Altri tipi costituiscono più
che altro una curiosità, come l’ancora con braccia modificabili o con due
braccia scorrenti lungo il fusto.
In questi ultimi due o tre
decenni sono comparsi altri numerosi brevetti rispondenti a necessità
particolari quali l’ancoraggio delle grandi piattaforme petrolifere in mare
aperto (le grandi Hook, 1976, pesano dalle 5 alle 60
tonnellate ed hanno capacità di trattenuta fino a 50 volte il proprio peso) o
piccole ancore per imbarcazioni da diporto e da crociera, di poco peso e potere
mordente maggiorato, fino a 4 o 5 volte il peso. Varie le fogge, palmate o a
forma di vomero, talvolta non riconoscibili a prima vista. È del 1933 l’ancora C.Q.R., a vomero, del 1937 la Northill, del 1939 la Danforth.
Da notare un piccolo gruppo
di ancore con il ceppo scendente o sistemato a contatto dei bracci come nel
tipo adottato nel 1950 dalla nave più moderna, la Savannah a propulsione
nucleare.
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Fig. 11 - Ancora francese (1791) |
Fig. 12 - Ancora a fungo stellato (John Christopher,
1821) |
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Fig. 13 - Trotman (1840) |
Fig. 14 - Ancora tedesca del 1800 |
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Fig. 15 - Marrel (1850) |
Fig. 16 – Ancora da sabbia Eell
Co’s (1916) |
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Fig. 17 - Tyzack San Rocco (1885) |
Fig. 18 - Ancora da piattaforma petrolifera Meon Mark 3 |
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In etnologia si ritrovano ancor
oggi le varie linee di sviluppo dell’ancora, i suoi percorsi evolutivi secondo
una morfologia assai ricca. Dal sasso grezzo al sasso sgrossato e lavorato
(Nuova Zelanda), la pietra a disco (Brasile), quel singolare disco forato e
appesantito da un sasso levigato in forma di ellisse di rotazione, che sembra
autoctono dell’isola di Celebes.
Tutto un gruppo di sassi
squadrati o arrotondati in funzione gravitazionale applicati su braccia lignee
disposte a croce o su tavola si trova lungo le coste del Brasile, delle
province basche, del Baltico (Steindraggen), della
Norvegia (krake), del Massachusset
negli Usa, ivi portato evidentemente da emigranti europei, da cui deriverebbe
il dorg canadese.
Si ritrova anche il cesto di
vimini riempito di pietre come il killik e il burgh inglesi.
L’ancora di legno ad un
braccio, che si è visto in sede di prima evoluzione dell’ancora greca, è molto
diffusa nel Vicino, nel Medio e nell’Estremo Oriente; a Madras (India), in
Malesia, in Indocina, spesso con appesantimento litico.
La vasta area cinese è
particolarmente ricca di modelli o tipi, di legno, di bambù ed anche tradotti
in metallo senza modifica dell’antico disegno, con o senza ceppo, con o senza
sassi di appesantimento. Esiste anche un’ancora ad un braccio con ceppo mobile.
Numerosi i tipi a due braccia
quasi sempre senza marre, con o senza ceppo (talvolta multiplo per compensare
la scarsa robustezza). Ma non solo in Cina, anche in India (Irawaddi,
Coromandel), dall’Annam al Viet-Nam, dalla Corea al Giappone. Talora di struttura
molto primitiva e rozza, ma anche frutto di una carpenteria raffinata con le
varie parti ad incastro.
Conviene soffermarsi
sull’area cinese, considerata da taluni l’area genetica dell’ancora. Gli
studiosi Giles e Moll hanno raccolto la tradizione
secondo la quale l’evento sarebbe da iscriversi a prima del
Un altro tipo di ritenuta era
in uso nei tempi più antichi, detta “bastone nel fango”, riferibile
inizialmente alla dinastia Sung del 960 d.C.. Molto usato dalle
imbarcazioni dello Yang Tze Kiang,
quindi nelle acque interne. Un semplice bastone fatto passare attraverso una
scatola guida verticale sotto la carena fino al fondale. Di ciò si trova ancora
qualche esempio nelle acque basse dell’Indocina (in un recente passato anche in
Irlanda e in Olanda, nei pressi di Rotterdam).
Non mancano poi, in
Occidente, ancore per uso speciale, di forme ben differenti da quelle che si
immaginano comunemente dover presentare l’ancora: a fungo (per fango), a
braccia ripiegate in varie fogge, a massa (Samuel Hemman,
1809), a pesante stella a sei punte (John Cristopher,1821), a doppia barchetta divaricata con verga triangolare
(americana del 1831).
Ci sono poi le ancoresse, ad
un solo braccio, per usi speciali. Ancore a grampino da galera e da barche
piccole, a tre, quattro o più ganci, di antica origine, fanno capitolo a parte
che conviene, qui, tralasciare.
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Fig. 19 - Brasile, ancora lignea, appesantita, di jangada |
Fig. 20 - Ancora lignea, appesantita, di Birmania |
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Fig. 21 - Ancora di legno e bambù, appesantita, del Viet-Nam |
Fig. 22 - Giappone, ancora di battello da pesca
della regione settentrionale |
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Si è fatto cenno all’effetto
gravità, al peso dell’ancora prima ancora dell’effetto della presa sul fondale
mediante le marre. A questo fine vale anche la catena, la cui lunghezza è
legata direttamente all’effetto ancorante pari a 4-5 volte il suo peso.
In sede di progettazione i
rapporti tra le varie parti dell’ancora sono studiati accuratamente e variano
col suo tipo e la sua massa in funzione della grandezza della nave. L’ancora
non è, infatti un accessorio ma uno strumento
d’importanza fondamentale, fatta oggetto di precise norme vincolanti, accurate
verifiche e prove riguardanti il peso, la resistenza alla caduta, il
martellamento, la resistenza alla trazione per ognuna delle quali vengono
impresse delle marcature in posizione prestabilita quale prova dell’accertata
integrità assieme al numero del certificato rilasciato e la data (mese ed
anno). Tavole complesse sono pubblicate dai vari registri navali, che rendono obbligatorie
due ancore di posta, un’ancora di riserva (come l’ancora sacra degli antichi, o
l’ancora di speranza dei velieri) e un’ancora di tonneggio per le manovre in
acque ristrette. Le navi militari portavano a poppa un’ ancora
detta di corrente.
Il transatlantico Rex,
di 45.650 t.s.l., aveva, ad esempio, tre ancore di
posta da
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Il naviglio minore e le barche non abbisognano di ancore pesanti oltre il limite proprio del materiale costitutivo essendo per lo più sufficiente la presa naturale. Meglio ancora la presa assicurata da qualche appropriato artificio di forma per cui sono comparse forme particolari che hanno trovato una grande diffusione specialmente nell’epoca moderna con il grande proliferare delle imbarcazioni da diporto. Compaiono innumerevoli tipi di ogni peso, grandezza ed efficacia a partire dai tipi a più marre, a bracci mobili ripiegabili e a orecchione fisso di produzione industriale ma non di rado anche artigianale.
Non è possibile in questa sede dare che qualche esempio, con un solo cenno alle così dette “ancore galleggianti” formate da superfici tenute verticali sott’acqua per frenare la deriva del naviglio in caso di avaria.
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Fig. 23 – ancora di nave dei cinque Porti (sec. XII) da sigillo coevo
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Fig. 24 – ancora ripiegabile di ferro zincato, a 4 nappe mobili – kg. 9
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Fig. 25 – ancora di ferro zincato per piccolo battello a 4 bracci
ripiegabili Kg.
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Fig. 26 – ancorotto AV da
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Fig. 27 – altezza circa 1,00-
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Fig. 28
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Fig. 29
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Fig. 30 – piccola ancora per imbarcazioni da diporto
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Fig. 31 – ancora da sabbia – Ancore Vianini S.n.c. |
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Nel vasto campo della
simbologia l’ancora, per quanto riguarda il mare e le sue attività ma non solo, condivide con
l’aquila e con il leone la figurazione di maggior impiego.
Nel campo delle marine
militari e mercantili si pone come contrassegno di grado e di funzione, si
presenta frequentemente in araldica, monete, medaglie, insegne e marche
svariate, sigilli e timbri,
prodotti industriali e attività commerciali anche non legate al
mare, nulla escluso per quanto può costituire un richiamo in una illimitata
varietà di soggetti.
Alcuni
esempi di insegne:
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Fig. 32 – fregio della marina da guerra
austro-ungarica (a
sinistra) e della marina da guerra italiana (a destra) |
Fig. 33 – fregi della marina militare italiana dal 1873 al 1946 |
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Fig. 34 – marina mercantile inglese e marina
militare inglese |
Fig. 35 – HMS
Hood, US Marines Corp, Aviazione Navale Francese |
Alcuni
esempi di simbolo:
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Fig. 36 – Pompei. Mosaico della Domus Melissaei detta Casa dell’Ancora |
Fig. 37 – Gabinetto delle Medaglie di Berlino -
monete |
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Fig. 38 – monete: colonia fenicia di Tharros (Sardegna), |
Fig. 39 – marca tipografica di Aldo Manuzio, 1504 |
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Fig. 40 – Amm Thaon de Revel S.N. “Puglia” - Bari |
Fig. 41 - varie |
Francesco Cafiero – Manuale
del tecnico navale - La Spezia 1952
Jacques Gay – L’evoluzione delle ancore dall’antichità all’apogeo
della vela (traduz. A.Cherini) – Le Chasse Marée,
Revue d’Histoire et d’Ethnologie Maritime, Douarnenez, N° 10, I trim. 1984
AA VV – Nautica, Mensile internazionale di navigazione.
Diversi numeri, con ricostruzioni e con notiziari riguardanti i reperti.
Ugo Nebbia – Le navi di Nemi - Roma, 1940
Lloyd’s Register of British and Foreign Shipping – List of Patent
Anchors sanctioned by the Committee – 1905
Aldo Cherini – Album atlante dalla preistoria ai tempi storici e attuali, raccolta di 444 fogli.