TIPOLOGIA DI UNO DEI PIÙ ANTICHI E
LONGEVI NATANTI
La zattera dalla
preistoria ad oggi
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Le zattere e i
natanti affini non sono tipi peculiari di lontani e avventurati paesi
tropicali. Se ne sono trovate e tutt’ora si trovano in ogni zona climatica tale
da consentire la libera esposizione degli imbarcati al sole, al vento e
all’acqua. Interessanti tipi di antica origine si possono reperire anche in
casa nostra, in Italia, come il “fassoni” dello stagno di Cabras in Sardegna,
pressoché uguale ad un tipo del Portogallo, la “cannizza” di Giulianova in
Abruzzo, le “zàtara”, “zataròn”, “passo”
e “fodero” del Po, affluenti e acquitrini dove dalla zattera vera e propria si
è passati per gradi alla forma di barca a fondo piatto che chiaramente mostra
la sua origine. Da ricordare anche l’esistenza storica delle zattere formate
dai tronchi dei boschi di conifere delle prealpi venete scesi per via di
fluitazione fino alla Laguna di Venezia
e al suo celebre Arsenale, condotti da una categoria di marinai detti “zàtari”.
Un sistema di trasporto economico ancora praticato,ad esempio, in Africa e in
America. L’estesa rete dei fiumi e dei canali dell’Europa specialmente
centro-orientale ha favorito fino a tempi non molto lontani un intenso traffico per via d’acqua servito
da tipologie di natanti assai variate e a volte notevolmente grandi oltre che
numerosi piccoli impieghi locali con una miriade di galleggianti che
generalmente non hanno attirato l’attenzione quanto l’argomento meriterebbe. Il
materiale impiegato è il più vario, va dal tronco d’albero grezzo o squadrato o
variamente lavorato o adattato, dal grande bambù di certe località tropicali,
dai fasci di tipici vegetali di palude qual è il “papiro” egiziano e il
“totora” peruviano, di quanto insomma si reperisce nell’ambiente ecologico,
nulla escluso.
La letteratura
antica e moderna — dall’»Odissea» di Omero, che ci ha angustiato sui banchi
della scuola, ai romanzi di avventure dei celebri Verne e Salgari, che ci hanno
deliziato nelle ore libere dei nostri anni verdi — ci ha fornito, della
zattera, un’idea errata facendocela ritenere un problematico mezzo di
salvataggio improvvisato con mezzi di fortuna, per lo più in extremis.
Ci sono state
effettivamente, e potranno esserci ancora, zattere di questo genere, ma esse
restano al margine di una vastissima e originale produzione nautica, di cui si
hanno in etnologia esempi assai interessanti. Mezzi di estesa tipologia, a
volte molto semplici, a volte complessi e molto ingegnosi, che possono essere
considerati «primitivi» soltanto per convinzione di comodo o perchè poco o
nulla conosciuti e sperimentati.
Non è che
intendiamo occuparci della zattera quale piattaforma formata da resti di
alberatura e di pennoni e da legname recuperato da sezioni fracassate dello
scafo di una nave, su cui trovavano rifugio i superstiti di un sinistro, come i
disperati naufraghi de «
La nostra
attenzione va indirizzata invece alla zattera utilizzata ancor oggi in molte
parti del mondo per la navigazione costiera e d’altura, per la pesca o per il
trasporto, con l’impiego di vari materiali e secondo varie tecnologie, sino a
quelle forme complesse, che la rendono simile ad una vera e propria
imbarcazione munita di prua, di poppa e di fiancate. Va inteso infatti che la
zattera non si limita al natante formato da tronchi d’albero o da bambù appaiati
longitudinalmente in due o più elementi, ma comprende anche i natanti di varie
specie di pianta acquatica, nonché le piattaforme galleggianti con l’ausilio di
otri o di vasi fittili.
Una curiosità
etimologica riguardante il «catamaran» o catamarano (termine questi
generalizzato nella nautica da diporto) ci porta ad iniziare dalle coste
dell’india Meridionale il viaggio ideale, che intendiamo intraprendere nella
rassegna delle zattere. S’intende comunemente per «catamaran» il battello
doppio, a due scafi, che, a vela e a motore, va diffondendosi grazie a certe
sue peculiari caratteristiche, che hanno attirato l’interesse di più d’uno
degli architetti e costruttori navali. Né mancano esempi anche in fatto di navi
di una certa mole, da passeggeri o per servizi speciali, in realtà il termine
«catamaran» deriva dall’indiano «ca thu-maram», che significa letteralmente
«tronco legato», nome che viene dato a quelle zattere, che rappresentano il
natante di gran lunga il più diffuso lungo le coste del Coromandel, da Capo
Cabinier a Madras e Pondichery sino a Orissa. La costa corre, in queste piaghe,
bassa e sabbiosa, senza alcun rifugio naturale, battuta incessantemente dal
mare lungo dell’Oceano Indiano, impraticabile pertanto a qualsiasi altro tipo
d’imbarcazione, che non resisterebbe senza danni alle sollecitazioni della
violenta risacca. Questi natanti costituiscono l’imbarcazione ideale dei
pescatori Tamil: di costruzione facile ed economica, tenuti insieme
esclusivamente per mezzo di legature, insommergibili e indistruttibili, essi
possono prendere terra senza difficoltà grazie anche all’abilità degli
indigeni.
Pur esistendo in
etnologia diversi tipi, e ben più appariscenti, di battelli doppi veri e
propri, l’adozione dei termine «catamaran» potrebbe spiegarsi col fatto che, in
caso di andatura a vela, si accoppia
alla zattera principale (detta «periya-maram», lunga di solito
Tre sono i tipi
principali: il «periyamaram», utilizzato sovente come unità semplice; l’«irukka-maram»,
un tipo più grande, ma sempre a vela unica; il «kola-maram», più grande ancora,
munito di due vele su due alberi in tandem. Quest’ultimo tipo viene impiegato
nella pesca dei pesci volanti, che si prendono molto al largo, sicché il vento
e la corrente trascinano i pescatori in alto mare, sovente molto lontano, fino
a
Lungo il Tlogu i
«catamarans» vengono costruiti in modo diverso e si distinguono per l’impiego
di caviglie, con le quali sono tenuti insieme tutti o parte degli elementi, che
compongono la zattera. Sui bordi esterni sono inoltre cucite delle tavole onde
proteggere in qualche modo gli uomini e il carico dai colpi diretti del mare.
False chiglie o tavole di deriva, inserite verticalmente a proravia, hanno il
compito di correggere lo scarroccio. All’atto del traino a terra, le zattere
vengono divise in più elementi togliendo le caviglie e sciogliendo i nodi, ma i
tipi in uso lungo le coste del Gajam sono incavigliati in maniera tale, che
l’imbarcazione viene alzata intera.
L’isola di Ceylon
si divide etnica- mente in due parti. La centrale e la meridionale è popolata
da Cingalesi; la settentrionale, invece, è popolata da immigrati Tamil, venuti
dalle opposte coste dell’india con i noti «cathu-maram», che però si
diversificano da quelli sopradescritti per essere costruiti con elementi
sagomati in maniera da presentare la piattaforma sensibilmente concava. La
parte prodiera si solleva facilmente sopra l’acqua con effetto planante sicché
talune zattere, come quelle Negombo, sono state modernizzate mediante un
apprestamento poppiero, che serve da sostegno ad un motore fuoribordo.
Detto questo, non
ci soffermeremo sugli altri numerosi tipi, che s’incontrano sulle acque
dell’india, lungo le coste del Kerala, nella regione di Quia bn, a Tanjore,
ecc., formate da tronchi con le estremità a volte appuntite, o sgrossati e
sagomati in maniera tale, con tavole di fiancata, da assumere la forma di barca
più che di zattera, come l’interessante tipo della regione di Vizagapatam.
Eccoci ora a certe
zattere fluviali e lacustri della Malesia, formate da una mezza dozzina di
tronchi di legno leggero o di bambù. Ricordiamo anche una grande zattera da
pesca munita di abitacolo all’estrema poppa e di un apprestamento a leva, che
serve per abbassare e alzare un bilanciere, col quale viene manovrata una rete
a tuffo quadrangolare, di un tipo, che si trova diffuso in tutto l’Estremo
Oriente. Nelle regioni settentrionali della Birmania s’incontrano le tribù
Lisu, che usano un originale zatterino formato da due tavoloni tenuti insieme
da particolari legature, che consentono ad un uomo di infilare le braccia per
tenere lo zatterino sulle spalle come uno zaino. Sui fiumi del Borneo flottano
sul filo della corrente grandi e solide zattere munite di tettoia a capanna con
parapetti di stuoia e di lunghi remi timone, a pala larga e corta, sistemati in
coppia sulla estremità poppiera, su forconi ricavati da rami biforcuti.
Numerose sono le zattere di bambù della regione indocinese munite di due o tre alberi
con vele triangolari e di remi di forma europea, che si spingono anche sul
mare, sottobordo dei piroscafi ad offrire prodotti locali, suggerendo un
impiego attivo nel piccolo traffico di cabotaggio.
La
regione cinese meridionale ha dato alcuni dei tipi più interessanti, quali la
zattera di tronchi di Miao Tzu, formata da sette elementi tenuti distanziati
gli uni dagli altri per mezzo di due assi trasversali, una delle quali, la
poppiera, passata attraverso dei fori praticati nei tronchi stessi; la precessione
avviene per mezzo di un remo timone manovrato da un uomo a sciavoga. D’indubbio
interesse anche dal punto di vista spettacolare sono quei gruppi di zatterini
di bambù, stretti e lunghi, con le estremità rialzate, che sono impiegati in
gran numero sullo Yang-Tze-Kiang per la pesca del cormorano, in un paesaggio
fiabesco fatto di acque speculari e di pittoreschi e tormentati profili dì
montagne, che vi si riflettono. Un uomo muove il natante con una pertica e
comanda il tuffo di un certo numero di uccelli, che tiene legati per mezzo di
lunghe cordicelle, mettendo il pesce da essi catturato in un grande cesto
sistemato a metà zatterino. Un modellino del Museo delle Scienze di Londra
riproduce una lunghissima zattera da trasporto del fiume Va, affluente
dell’alto Yang-Tze-Kiang, munita di piattaforma sopraelevata sul piano di
galleggiamento per impedire il contatto dell’acqua con le merci, che trovano
riparo sotto tettoie semicilindriche di stuoia. Caratteristica la struttura dì
prua e, a poppa, il solito remo-timone. Si vedevano un tempo, sul Fiume Giallo,
certe curiose zattere a spalliera, munite di decorazioni stilizzate, che
avevano l’aspetto di letti galleggianti. Più vasta l’area di diffusione della
zattera da pesca con rete a tuffo, di un modello non molto dissimile, nelle
linee generali, dallo esemplare malese già conosciuto, e da altro esemplare,
che si nota suI Lago Sun Mon nell’isola di Formosa, o dalla zattera «moro»
delle Isole Sulu, nello Arcipelago delle Filippine, caratterizzata da altissime
antenne. Tutti questi esemplari hanno in comune un riparo a capanna, a poppa, e
un bilanciere mobile, con contrappeso, a prua.
Ma
il tipo più interessante tra tutte le zattere cinesi — da cui, secondo taluni,
sarebbe derivata la stessa giunca — è la zattera concava di T’ai Wan, la cui
area di diffusione comprende anche I ‘Arcipelago delle Pescadores. Formata da
elementi di bambù sensibilmente arcuati e tenuti insieme con l’antico sistema a
legature, munita di derive mobili e di quattro remi, di una vela rettangolare
di tipo cinese, con o senza stecche, essa è aperta all’acqua, che ha accesso da
tutte le parti e che rifluisce liberamente, per cui gli occupanti, che vogliono
tenere i piedi all’asciutto, si servono di una specie di tinozza.
Una
stampa giapponese ci mostra una zattera per la fluitazione del legname a
Arashigama, condotta da due boscaioli con l’ausilio di pertiche; un fuoco arde
su di una piattaforma di terra. Zattere molto semplici si notano nelle regioni
asiatiche continentali, dal Tibet alla Mongolia, sul lago Hubsugul, al confine
con
Le
sconfinate distese equoree della Oceania, disseminate da miriadi di
arcipelaghi, d’isole e d’isolotti, per lo più d’origine corallina,
rappresentano ancor oggi un serbatoio nautico etnografico di grande ricchezza.
Date le caratteristiche ambientali, le zattere trovano in queste pIaghe impiego
più limitato presentando tipi peculiari.
Si
notano nella Nuova Guinea svariati esemplari nella regione del Golfo di Huon,
sul fiume Markham, nelle Terre di Nord-Ovest, sul fiume Musa e nella regione di
Capo Sud, dove la «eanga» va annoverata tra le zattere più originali anche se
molto semplice Formata da tre o quattro tronchi tenuti insieme mediante tre
ordini di lega ture, presenta le estremità smussate e sagomate come la prua e
la poppa di un battello. Non molto dissimile è un tipo, a poppa tronca, delle
Isole Marchesi, formato da tre tronchi tenuti insieme da due lunghe caviglie,
che passano i tronchi da parte a parte. Caratteristica la leggera zattera di S
Cristobal nelle Salomone, formata da numerose verghe, che vanno a restringersi
in un fascio di prua tenuto arcuato in modo pronunciato da un tirante di corda.
Le
Isole Figi sono depositarie di numerosi modelli, alcuni dei quali del tutto
originali, che non hanno riscontro in nessun altro sito. Merita un accenno Io
zatterino di bambù di Viti Levu il «bilibili», una zattera più grande impiegata
per la discesa dei corsi di acqua, nonché un tipo similare ancor più grande
usato nella navigazione marina a pagaia, munito di un leggero riparo a due
spioventi. Ma ecco la zattera di Vanikoro con piattaforma notevolmente elevata
sopra il piano di galleggiamento formato da cinque tronchi, tanto da necessitare
di uno stabilizzatore, cioè di un bilanciere, elemento d’impiego pressoché
generalizzato in queste piaghe su tutti i tipi d’imbarcazione. È un esempio unico, cui sembra derivare quella curiosa
imbarcazione che si vede dalle stesse parti, di forma simile a una canoa a
bilanciere, ma in cui la zattera è ridotta ad un tronco unico, appuntito alle
estremità.
Nell’Arcipelago
della Società esistono zattere tra le più grandi, che si conoscono, di
costruzione complessa e molto robusta, munite di spazioso abitacolo a capanna e
di due alti alberi bìpodi con degli apprestamenti, a prua e a poppa, pure
bìpodi, inclinati e sporgenti come bompressi. Esse sono forse le discendenti di
quelle zattere di balsa, che sarebbero venute, in tempi antichi, dalle coste
meridionali del continente americano. È ciò che si è proposto di
dimostrare lo scandinavo Thor Heyerdhal, nel 1947, con la sua «Kon-Tiki», costruita sulla base dei
modelli primitivi. Partito con cinque compagni da Callao, l’ardito navigatore
toccava l’isola di Raroia, in Polinesia, dopo 101 giorni di fortunosa
navigazione sul filo della corrente e dei venti, che nel Pacifico Meridionale
sono predominanti da Est verso Ovest. Una altra verifica delle capacità della
zattera di balsa veniva eseguita recente- mente, nel 1970, dallo spagnolo Vital
Alsar, che con tre compagni copriva, in 156 giorni, le
Accenneremo
infine alla zattera piatta delle Isole Gambier, nell’Arcipelago delle Paumotu,
munita della caratteristica vela polinesiana a triangolo rovesciato, capace di
diversi uomini, per scendere infine nella Nuova Zelanda, dove esiste un tipo,
che anch’esso può essere considerato unico nel suo genere, la «amatiatia»
formata da una doppia piattaforma di cinque tronchi molto leggeri e
stabilizzati, a mo di bilanciere, da altri 3 tronchi. Merita un accenno, prima
di lasciare questi mari la singolarissima zattera delle Isole Chaham, usata
nella caccia agli uccelli acquatici, che è formata da tronchi disposti in
maniera da costituire una specie di truogolo.
Un
balzo attraverso l’Oceano Pacifico porta al continente americano, dove,
lungo le coste del Perù, navigavano un tempo quelle grandi zattere di balsa, di
Cui abbiamo fatto cenno. Composte di tronchi sovrapposti in due o tre ordini,
di un legno tipico delle foreste tropicali, molto leggero e a fibra minuta e
compatta, che lo rendono resistente all’acqua, erano munite di abitacolo a
capanna e di una alberatura bipode munita di una grande vela quadrangolare e di
una controvela più piccola. Nella provincia di Guayas, a Playas, vi sono
tuttora non p0- chi esemplari di un tipo ridotto a due soli tronchi con
estremità coniche e vela triangolare.
Ma
le zattere americane più note, costruite ancor oggi in gran numero, sono le
«jangadas», che s’incontrano lungo le coste Nord-Est del Brasile, da Recife a
Fortaleza. Impiegate nella pesca di altura, condotte sino ad incrociare le
rotte dei grandi piroscafi intercontinentali da una razza di pesca-
tori-marinai intrepidi, gli «jangaderos», esse sono entrate nel folclore e
nella leggenda. Sono formate da 5 o 6 tavoloni tenuti insieme da caviglie di
legno e legature (non c’è il più piccolo pezzo di ferro a bordo della
«jangada», come del resto in nessuna delle zattere primitive) , facili da
essere alate sulle spiagge basse e sabbiose di quelle pIaghe, battute dall’onda
lunga dell’Atlantico, hanno la prua e la poppa tronche, una grande deriva
mobile, un lungo remo timone, un albero flessibile su cui è inserita
direttamente una grande vela triangolare, molto grande in rapporto al natante.
Sono ingombre di ceste e di caratteristiche attrezzature, tra cui una singolare
ancora di legno appesantita da un grosso sasso di forma ovale. Non inganni
l’aspetto fragile e la piccola mole della «jangada»: con un simile mezzo sono
state percorse senza danni le
Nell’isola di Giamaica, sul Rio Grande, sono impiegati lunghi zatterini di
bambù per le escursioni dei turisti, che stanno comodamente seduti a poppa,
mentre un uomo manovra, sul da vanti una lunga pertica, in mezzo ad una
vegetazione lussureggiante.
L’Africa
non presenta, tra le zattere di tronchi, tipi degni di nota. Molto semplici e
primitivi quelli del Lago Naivasha nel Kenya, formate da cinque tronchi corti e
tozzi, ai quali è richiesto unicamente il requisito della galleggiabilità. Più
allungate, e ridotte spesso a due soli tronchi legati sommariamente, le zattere
usate dalle tribù Eimu e Turcana del Lago Rodolfo. Sul Fiume Oguè, nel Gabon,
si notano grandissime zattere, o meglio treni di zattere, per mezzo delle quali
viene convogliato al mare il legno pregiato delle foreste dell’interno. Sono molto
lunghe e hanno costruite sopra quattro, cinque e più capanne per il riparo dei
boscaioli, ai quali spetta il compito di mantenere il convoglio sul filo della
corrente. L’Africa è titolare, invece, dì molti tipi di piroghe monòssili e di
tavole cucite ma soprattutto delle zattere di giunco, delle quali ci
ripromettiamo di trattare in una nuova occasione.
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(1*)
Nell’estate
del 1816, un convoglio di 4 navi francesi era in rotta verso il Senegal per prendere
possesso di alcuni possedimenti restituiti dall’Inghilterra dopo la fine delle
guerre napoleoniche. Faceva parte del convoglio la fregata «
Navi di modello
primitivo sopravvissute ai giorni nostri
Le
più antiche rappresentazioni iconografiche della storia della navigazione
provengono dall’Egitto: si reperiscono tra i graffiti, le pitture vascolari e i
bassorilievi della tomba del faraone Mene (3400-
Queste
prime imbarcazioni, munite di padiglioni o tuga, di remi-timone e, spesso,
anche di vela, appartenevano alla categoria delle zattere e venivano costruite
non con tronchi d’albero, o altro legname, che in quell’epoca era materiale
ricercato e costoso, ma con gli economici fusti del papiro, che cresceva
rigoglioso e abbondante lungo il corso del Nilo, dalle sorgenti perdute nel
cuore del continente africano sino al delta, dove le acque dolci vengono a
mescolarsi col mare.
Tanto
economiche e funzionali, queste imbarcazioni, da esser mantenute in uso anche
al giorno d’oggi nelle regioni più interne della Nubia, dell’Etiopia, dei
territori del Ciad. Trattasi per lo più di battellini individuali o, al
massimo, capaci di una mezza dozzina di uomini; al posto del papiro, fattosi
raro o scomparso, vengono impiegati altri vegetali di caratteristiche similari,
come l’«anbac», la «typha» e certi fusti di palme nane.
Il
Nilo Azzurro e il Lago Tana sono tuttora depositari di più di un tipo di chiara
derivazione faraonica, come la «tanqua» del Tana, discostantisi via via, che ci
si allontana dai centri genetici dell’antico Egitto, come la canoa degli
Haruroro del Lago Margherita, mossa da singolari pagaie con la pala curvata
all’in giù, come gli zatterini degli Arussi del Lago Zway, mossi da una pagaia
a due pale, strette e lunghe, come la piccola imbarcazione del Lago Barigo nel
Chenia, a prua rilevata, a poppa tronca e aperta, con pagaia senza manico, la
cui pala viene tenuta direttamente dal pagaiatore. Ma le più belle imbarcazioni
attuali sono quelle del lago e degli estesi acquitrini del Ciad, dove non è
ancora estinta la schiatta degli abili artigiani, che sanno lavorare il papiro.
Trattasi di imbarcazioni di una certa dimensione, con prua e poppa
armoniosamente rilevate, munite di riparo centrale su leggera intelaiatura
semicircolare, mosse da due uomini per mezzo di lunghe pertiche. Un’area di
diffusione molto estesa, dunque, e orientata geograficamente, grosso modo,
secondo un’asse longitudinale, che si può reputare toccasse anche l’Italia
Meridionale considerando il fatto, che il papiro cresceva anche in Sicilia e
che sopravvive in Sardegna ancora al giorno d’oggi, nelle peschiere di Cabras,
un’imbarcazione di canna, la cui forma non si discosta di molto dagli antichi
natanti nilotici, tranne che nella poppa, tronca e aperta.
Questo
tipo di zattera, in uno con i celebri reperti archeologici e con la tradizione
storica dei grandi viaggi intrapresi da flotte egiziane, non ha mancato di
attirare l’attenzione dell’etnologo e navigatore Thor Heyerdahl, che, dopo il
noto viaggio da lui intrapreso, nel 1947, con la balsa «Kon-Tiki»,
di cui abbiamo fatto cenno nel precedente fascicolo, ha voluto sperimentare il
comportamento del papiro costruendo in Egitto, nel 1969, una nave ispirata ai
modelli faraonici con l’intento d’intraprendere la traversata dell’Atlantico.
L’impresa si presentava meno facile, questa volta, perchè il papiro s’è fatto
raro, in Egitto. Ne sono stati fatti venire dall’Etiopia
Ed
è proprio nel continente americano, che si trovano le più belle imbarcazioni di
giunco, e precisamente sul lago Titicaca situato, come si sa, tra
Sulle
sponde e sulle isole del grande lago andino vivono gli Aymarà, famiglia etnica
in india ancora forte, preesistente agli Incas, la cui attività preminente è la
pesca. Le acque del lago sono leggermente salmastre e abbondano di una specie
di sardina, che viene pescata con le reti tese da numerose imbarcazioni, di
forma assai aggraziata, costruite con fasci del giunco «totoca», che cresce in
abbondanza lungo le sponde acquitrinose. Occorrono non meno di quindici giorni
per costruire ciascuna di queste barche; i fasci di giunco vengono costipati a
colpi di pietra e legati strettamente con molti giri di cordicella, tanto da rendere
la fibra impermeabile all’acqua, consentendo la durata di un triennio, che è
notevole in rapporto al materiale impiegato. Di giunco è anche la vela, che è
di forma rettangolare, o tronco conica, o più raramente ad esagono allungato, e
che viene issata su di un piccolo albero bipode abbattibile. Tutte queste
zattere sono utilizzate generalmente da un uomo, ma esiste anche un tipo da
trasporto, e pertanto di dimensioni più grandi.
Scendendo
sulla costa peruviana, s’incontra a Piura, alla frontiera con l’Equador, il
«caballito», semplice zatterino da pesca a prua affusolata sul quale il
pescatore sale a cavalcioni, come su di un cavallo «donde il nome) ponendo il
pescato in un pozzetto ricavato a poppa. Non è infrequente, in queste zone, un
mezzo di trasporto per due o tre persone e un po’ di mercanzia, costituito da
due galleggianti a forma di sigaro appaiati costa a costa e propulsi per mezzo
di una pagaia a doppia pala. Nella laguna di San Pablo, in Equador, esisteva, e
forse non è del tutto scomparso, un galleggiante di giunchi assai primitivo di
durata e d’impiego limitati, mentre più a nord, nei golfi della California
Meridionale, gli indios Saris costruiscono un natante molto affusolato e
aggraziato, che termina, a prua, con una lunga appendice in- curvata verso il
basso, come il collo di un cigno.
Le
isole dell’Oceano Pacifico sono depositarie di tipi non numerosi, ma disparati,
dallo zatterino primitivo dell’isola di Pasqua, all’«ebeed» delle isole Gilbert
(piccola zattera a doppio galleggiante impiegata nella pesca in acque basse),
al «mohiki» della Nuova Zelanda e delle Isole Chatham (a forma di sigaro), a
vari tipi notevolmente progrediti e formati da una mezza dozzina di fasci di
canne disposti a forma di canoa (uno dei quali è sorprendentemente simile
all’imbarcazione di Cabras, in Sardegna, di cui si è fatto cenno).
Alle
Isole Chatham appartengono i tipi più elaborati e curiosi, che è dato di
vedere: il «waka puhara» e il «waka pahi». Di struttura complessa e ingegnosa,
con due chiglie e intelaiatura a forma di chiatta, che serve di sostegno alle
fiancate di canne mentre l’interno è riempito di alghe costipate, tali
imbarcazioni presentano doti di galleggiabilità sorprendenti, tanto che il tipo
più grande, lungo circa
Chiuderemo
il capitolo con un cenno alla zattera di corteccia della Tasmania, che presenta
una forma non molto dissimile dalla «totoca» del Titicaca o da certe zattere
del Ciad. Imbarcazione, quindi, d’interesse notevole, anche se realizzata in
maniera molto primitiva e non rifinita come i modelli citati.
Il
nostro discorso sulla tipologia delle zattere non sarebbe completo senza un
cenno a quella singolare categoria di natanti la cui galleggiabilità è
assicurata, e in modo egregio, da otri di pelle gonfiati, di bufalo, di
montone, di capra.
Anche
per questa categoria troviamo riferimenti archeologici e un centro genetico
specifico, che è situato precisamente in Mesopotamia, lungo i grandi fiumi
Tigri e Eufrate. Antichi bassorilievi assiri del primo millennio a. C.
riproducono quel tipo di zattera, la «kalek», che ancor oggi è largamente usata
per portare a valle ogni specie di mercanzia, dopo di che la zattera, che può
raggiungere dimensioni anche notevoli, viene smontata e gli otri, sgonfiati,
vengono caricati su di un carro, che fa il viaggio di ritorno. Metodo
antichissimo, quindi, e molto pratico, che è stato utilizzato perfino dai
distaccamenti della marina da guerra tedesca inviati in Mesopotamia in aiuto ai
Turchi durante la guerra del 1914-1918.
Galleggianti
di notevoli dimensioni di pelle di bufalo si incontrano sul fiume Sutlej, nel
Pungiab, ai piedi dell’Himalaia, sul Medio Indo, dove gli otri vengono usati
anche come galleggiante individuale, sul quale si sdraia un uomo, con le gambe
nell’acqua, muoventesi con l’aiuto di una pagaia a manico corto (vedi parimenti
antichi esempi offerti da bassorilievi mesopotamici).
Notevole
è la zattera cinese dell’Alto Hoang Ho, formata da 6 pelli di yak, che
sostengono una piattaforma a traliccio, articolata, mossa da quattro remi. Non
è questo il solo tipo esistente in Cina e merita una citazione anche la zattera
di 12 otri con leggero traliccio concavo, nè mancano gli otri usati
individualmente, come quelli dello Hoang Ho. E’ tanto ovvio l’uso dell’otre
come ausilio al nuoto, che esso s’incontra ovunque risiedono popolazioni a
livello culturale pastorale primitivo e ovunque il clima lo consente, sia in
Asia, che in Africa.
In
America, lungo le coste del Perù, vengono impiegate pelli di foca o di
pescecane, le «balsas de odros» di antica origine, appaiate fianco a fianco a
sostegno di una piccola piattaforma, sulla quale prende posto un uomo, che
manovra una pagaia a due pale.
In
luogo delle pelli gonfiate, non mancano esempi d’impiego di orci fittili a
bocca stretta, com’è il caso di una zattera a piattaforma quadrangolare del
Lago Ciad, che è munita, appunto, di quattro grossi vasi globulari legati in
corrispondenza di ciascun angolo. L’insieme appare primitivo e non molto
solido, adatto quindi per le acque basse e calme. Orci fittili vengono usati
anche in India, a Vallore, nella raccolta delle foglie del giglio acquatico:
due vasi tenuti col collo rovesciato sono uniti da due pertiche, a cavallo
delle quali si pone il raccoglitore stando fuori dell’acqua quanto gli basta
per fare agevolmente il suo lavoro.
Una
distribuzione geografica e una copertura cronologica molto vasta, dunque,
quella della zattera, che appare legata all’ambiente ecologico per tipi, per
forme e per materiali più di qualsiasi altro genere d’imbarcazione tanto da
assumere un posto di rilievo nella storia dell’evoluzione dell’umanità e da
meritare di essere più conosciuta tra quanti s’interessano di nautica.
(Archivio
e biblioteca dell’Associazione Marinara Aldebaran di Trieste).
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250 fogli
________
(2*) Colpito dalle affinità
riscontrabili tra le civiltà nilotica e mesopotamica e le civiltà precolombiane,
Thor Heyerdahl ha voluto sperimentare la fattibilità della traversata atlantica
da est ad ovest, lungo la corrente delle Canarie, con una nave di modello
primitivo rilevabile sulla base dell’iconografia egizia più antica. E’ nata
così la prima «Ra», costruita con 20 rotoli massicci di papiro in forma
affusolata, che iniziava il viaggio il 25 maggio 1969 partendo da Safi,
antichissimo porto del Marocco, conosciuto anche dai Fenici. Mancava ogni
esperienza e il natante rivelava presto un difetto costruttivo della poppa, che
si aggravava progressivamente complicato dalla rottura dei timoni, che erano
stati costruiti col legno di iroko, tipico delle foreste africane, non essendo
stato possibile disporre del cedro del Libano, impiegato in antico dagli Egizi.
Dopo 55 giorni di avventurosa navigazione e un percorso di