Associazione
Marinara «Aldebaran»
Cantieri
e armamenti giuliani minori
Capodistria
1841 – 1945
La strada che dal piccolo porto commerciale di Capodistria portava, correndo sotto il gradone del Belvedere, fino al mandracchio dei pescatori di Bossedraga si chiamava Riva dei Cantieri. Tutto l’arenile, infatti, era occupato da squeri e piccoli cantieri che avevano suggerito alla commissione comunale di toponomastica l’ovvio toponimo, che non era però molto antico.
Prima del 1841, si trovava a Bossedraga e sul beve tratto di spiaggia davanti al ponte di Semedella soltanto qualche povero scalo accomodato alla buona, dal quale scendeva in mare di tratto in tratto qualche barca peschereccia o, al più, qualche brazzera o vi si raddobbava qualche trabaccolo. Il terreno spianato e di giusta inclinazione, il fondale sufficiente, la possibilità dell’acquisto di legname dai vicini boschi e la mano d’opera presente in sito suggerivano però qualche intrapresa di un certo respiro che veniva tentata, per primo, da Agostino Piscitello che utilizzando uno scalo rabberciato alla meglio e con un minimo di attrezzatura costruiva il bark “Caledonia” di 310 tonn., abilitato alla navigazione di lungo corso.
L’impresa serviva di esempio, ed ecco arrivare i fratelli Martin, francesi, che formavano il progetto di erigere nella zona un cantiere vero e proprio, con le debite attrezzature. Costoro acquistavano il terreno comunale di quella parte della spiaggia che si trovava a tramontana verso il magazzino del sale detto Pacioschi (Patzowsky), guadagnavano spazio con un interramento, cingevano la spianata con un muro a pilastri e cancellate, piantavano sei scali, attivavano una macchina a vapore per la curvatura del legname, muravano una tettoia con ampia sala per i modelli e magazzino degli attrezzi, il tutto accompagnato da una nota di decoro non comune.
Cominciava presto a fervere il lavoro sotto la direzione dell’inglese Tommaso Pitchard, si costruiva nel 1846 un bark della portata di 332 tonn. ed un brick di 200 tonn. del valore di 40.000 e rispettivamente 30.000 fiorini. L’anno successivo venivano messi sugli scali un bark di 363 tonn.(valutato 42.000 fiorini), un brick di 314 tonn. (per 35.000 fiorini) ed una nave di 600 tonn. (stimata 80.000 fiorini).
Agostino Piscitello passava ad operare presso lo squero di Angelo Deste, a Bossedraga, che ampliava mettendo sullo scalo uno scooner-bark di 200 tonn. del valore di 20.000 fiorini.
Contemporaneamente si faceva vivo il costruttore Giuseppe Adami, che si assestava sopra un altro squero, quello di Nicolò Borri, acquisendo per 80.000 fiorini la costruzione di una nave da 600 tonn.
L’anno dopo, nel 1848, scendeva in mare dal cantiere dei fratelli Martin un curaporto a vapore di 203 tonn. del valore di 80.000 fiorini, mentre il costruttore Giuseppe Corma, utilizzando lo scalo di Angelo Deste, metteva in mare una polacca di 320 tonn. per 35.000 fiorini.
I più alacri erano i Martin che nel 1849 realizzavano un bark di 400 tonn. (46.000 fiorini) ed un brigantino di 300 tonn. (40.000 fiorini); seguivano nel 1850 un brigantino di 256 tonn (22.000 f.) ed uno scooner di 242 tonn. (24.000 f.); nel 1851 era la volta di un bark di 400 tonn stimato 35.000 f. e l’anno dopo di un secondo bark dello stesso tonnellaggio ma del prezzo superiore di 2000 f. Un terzo bark, il “Draghetto”, stazzava 425 tonn. (44.000 f.), un quarto, l’ “Ariel”, aumentava la portata a 505 tonn. (50.000 f.); seguiva un bark da 405 tonn., il “Boxidar” (40.000 f.) ed infine il brigantino “Melchiorre” di 391 tonn. (36.000 f.).
Intorno a questo tempo veniva ridotto a cantiere un altro tratto di spiaggia per iniziativa di Giovanni Bishop, che costruiva uno scooner del valore di 30.000 f.
Spuntava una nuova intrapresa, quella dei soci Salvatore Piscitello e Luigi Poli che acquistavano il fondo esistente sotto il bastione del Belvedere dando inizio col brigantino “Albanese” di 81 tonn. (9.000 f.) ad una delle imprese più durature mentre il cantiere Martin cominciava a declinare.
Nel 1853 i Martin costruivano il brick “Eugenio” di 426 tonn. al prezzo di 42.000 fiorini ed il brick “Lucia” di 407 tonn per 41.000 f.
I soci Piscitello e Poli varavano nel 1854 il brigantino “Amalia Angelica” di 386 tonn.,valutato 38.000 f., mentre dallo squero Borri il costruttore Giovanni Schiavon faceva scendere felicemente in mare i bark “Cesarea” di 435 tonn. e “Primogenito” per un valore complessivo di 84.000 f.
Il 1855 allinea quattro costruzioni: il brigantino “Nicolai” di 528 tonn. (54.000 f.) varato da Piscitello e Poli, due navi da parte dello Bishop, l’"Alessandra“ di 808 tonn (80.000 f.) e la “Jenny” di 703 tonn. pagato 72.000 f. , il clip bark “Leda” di 372 tonn. costruito dallo Schiavon per 37.000 f.
Il 1856 si presenta come un anno di buona attività : lo Zanon varava dallo squero Deste il brick “Nemesi” di 420 tonn. (42.000 f.); lo Schiavon faceva scendere in mare dallo scalo dello squero Borri il brick “Tauro” di 445 tonn. (44.000 f.); seguiva a cura dello Bishop il bark “Elisa” di 380 tonn. valutato 36.000 f.; i Martin varavano a loro volta il bark “Fortuna” di 210 tonn. al prezzo di 21.000 f., il brigantino “Ures” di 380 tonn. per 36.000 f. e il bark “Isgled” di 256 tonn. per 25.000f.; Piscitello e Poli realizzavano infine il brigantino “Rosario” di 89 tonn. per 18.000 f.
Il brick “Fidio” di 440 tonn. e la nave “Carla” di 566 tonn., del valore di 44.000 e rispettivamente 58.000 f. venivano varati nel 1857 dallo Zanon e dallo Shiavon, il quale costruiva pure il bark “Margaret” di 494 tonn. per l’importo di 49.000 f.
All’attivo del cantiere dei fratelli Martin, nel 1859, troviamo un curaporto a vapore di 220 tonn. (30.000 f.); di Piscitello e Poli lo scooner “Sajeka” di 74 tonn. (8.000 f.) seguito dal brigantino “Antonio” di 221 tonn. stimato 16.000 f.
Periodo di notevole attività, destinata a non durare. Il
1862 comportava un notevole ristagno: non si avevano che il varo del bark “Cornucopia”
di 424 tonn (40.000 f.) e di un curaporto
di 180 tonn. (18.000 f.) da parte del cantiere Martin, e dello scooner “Diana”
di 125 tonn. (13.000 f.) da parte di Piscitello e Poli.
Nel 1863 non si conta più di un curaporto nel cantiere Martin, di 150 tonn. per 16.000 f.. Nel 1864 il brick “Lampo” di 268 tonn. per 25.000 f. Nel 1865 due curaporti, uno da 120 tonn. e l’atro da 200 tonn. per un valore complessivo di 26.000 f. Un periodo indubbiamente assai magro che andrebbe confrontato con quanto avvenuto negli altri piccoli squeri e cantieri della regione.
Due brick furono costruiti da Piscitello e Poli nel 1866, il primo, “Teofrasto”, di 330 tonn. e del valore di 35.000 f., il secondo, “San Nicolò”, di 175 tonn: per 17.000 fiorini; aggiungasi un curaporto di 122 tonn. varato dai Martin per un valore di 36.000 f.
Il 1867 reca il bark “Savio” di 123 tonn. del costo di 16.000 f., posto in mare dal fratelli Martin mentre i soci Piscitello e Poli davano prova di maggiore intraprendenza con tre vari: i bark “Adrastea” di 470 tonn (48.000 f.), “Daniele Manin” di 487 tonn. (stesso valore), “Unione” di 271 tonn. (30.000 f.).
Fin qui le costruzioni di naviglio nuovo per una portata complessiva di 19.605 tonn. e un valore complessivo, tutto compreso, di 2.130.000 fiorini e senza tener conto dei raddobbi e di altri lavori che pur hanno posto in circolazione un capitale non scarso.
Il cantiere Piscitello e Poli è il più vivo e interessante e nei primi tre mesi del 1867 ha costruito sei peate da 120 tonn. del valore complessivo di 8.000 f. ciascuna, ha provveduto al raddobbo di un pontone da 120 tonn. e del bark “Lisa” di 400 tonn. mentre sono in corso lavori sul brick “Sio” di 250 tonn. e sulla nave “Milla” di 458 tonn.
Il minuzioso elenco di cui sopra si deve alla penna di un cronista del periodico “La Provincia dell’Istria”, di proprietà della famiglia Madonizza e uscito tra il 1867 e il 1894, attento alle attività locali anche se non si trovano più, in seguito, resoconti tanto dettagliati e completi pur restando una fonte di notizie quasi unica.
Il 25 aprile del 1869 scendeva in mare dal cantiere di Luigi Poli e Salvatore Piscitello il bark “La Favilla” di 708 tonn. davanti ad una grande folla accorsa a godersi lo spettacolo dagli spalti del Belvedere mentre nella sala del tracciato veniva preparato un ricevimento per 120 persone, molte delle quali venute per l’occasione da Trieste, che venivano intrattenute con un discorso molto incoraggiante dall’armatore Clemente Barzilai, socio di Ludovico Maffei.
Il Piscitello si ritirava ad un certo momento
dall’attività e il cantiere passava ai fratelli Luigi e Francesco Poli,
che imprimevano all’attività nuovo impulso, con le seguenti costruzioni:
1870 |
Bark |
“Capodistria” |
350 tonn. |
|
Bark |
“Rebecca” |
435 tonn. |
1871 |
Bark |
“Caterina” (I) |
300 tonn. |
|
Bark |
“Napret” |
430 tonn. |
1872 |
Bark |
“Virginia” |
600 tonn. |
|
Scooner |
“Pola” |
260 tonn. |
1873 1875 |
Bark Scooner Bark Piroscafo |
“Virginia” “Colombo” “Lottatore” “Aida” |
350 tonn. 220 tonn. 850 tonn. 170 tonn. |
Venivano inoltre sottoposti a lavori di raddobbo 18
velieri della stazza media di 350 tonn.
La nave più grande era il bark “Filadelfia” di 850 tonn. costruito su disegno di Francesco Poli, “maestro approvato” dalle autorità marittime, e varato nel giugno del 1876. Il cantiere si estendeva su di un’area di 625 m2 , aveva in costruzione anche una nave da 556 tonn. del valore di 86.335 fiorini e ai lavori di raddobbo altre due per complessive 1.333 tonn. e valsente di 24.000 fiorini.
Nello stesso periodo il cantiere Deste di Porta Isolana, che disponeva di un’area di 300 m2, aveva in costruzione una barca di 12 tonn. e altre tre in raddobbo. Una costruzione di notevole mole era il bark “Caterina” di 600 tonn. varato dal Poli nel luglio del 1880. Altro lavoro importante era la riclassificazione del bark “Annetta” arripato e rivarato nel 1892. Nell’agosto del 1893, davanti ad una folla di curiosi assiepati sullo spalto del Belvedere, veniva rimesso in acqua il “Vis”, un piroscafo a ruote già appartenuto al Lloyd Austriaco, la cui propulsione veniva trasformata a due eliche, per conto dell’armatore Tarabochia e Soci. Seguiva la commessa di quattro grandi peate per conto dell’i.r. Governo marittimo.
Nel 1881 il cantiere Poli aveva in costruzione anche i piroscafi “Adriana” e “Gian Rinaldo Carli”, varato nel 1883 per conto della società di navigazione costiera cittadina mentre l’"Adriana“ passava alla S.N. ”Istria-Trieste". Nel 1883 veniva qui costruito anche il piroscafo “Monfalcone” per la Società di Navigazione Monfalconese e, nel 1911, il “Gradenigo” per la Società di Navigazione NIB di Grado. Nel 1888 il Poli acquistava i terreni degli eredi Bishop e, con opere di interramento, guadagnava buona parte della spiaggia a nord del Belvedere risolvendo ogni problema di spazio. Cresciuta e migliorata la produzione, la direzione del cantiere adottava nuovi metodi lavorazione e licenziava il personale resosi esuberante. Ciò provocava un’agitazione tra le maestranze, che non evitavano i licenziamenti ma ottenevano la giornata lavorativa di 11 ore. Ma le costruzioni in legno stavano perdendo ogni rilevanza e il cantiere entrava presto in crisi fino a non superare i tempi nuovi seguenti alla guerra del 1914-18. Cessava senza lasciare alcuna traccia della sua esistenza, che aveva avuto non scarsa rilevanza, i modelli delle costruzioni usati per fini pubblicitari andavano tutti dispersi (il modello dello scooner brick “Pola” compariva, ad esempio, alla Mostra Universale di Trieste e quello del piroscafo “Adriana” veniva esposto nel padiglione marittimo dell’Esposizione Provinciale del 1910), quasi inesistenti le fotografie sicché è difficile oggi farsene un’idea.
Un varo del tutto inconsueto aveva luogo il 12 giugno 1899 dallo squero ex Martin, davanti a grande folla di curiosi: scendeva in mare il grande bagno galleggiante “San Giusto” sul quale si trovava allogato anche un ristorante bene attrezzato, costruito per conto dell’imprenditore Giacomo Sauro, attivo anche nel campo dei ricuperi marittimi e padre del capitano Nazario.
Le piccole imprese di navigazione erano molto numerose, come si sa, in una Venezia Giulia tutta protesa sul mare in posizione geopolitica particolarmente favorevole. Talune forme societarie sembravano rispondere bene alle esigenze di imprenditori che non disponevano di grandi capitali e non poche erano le associazioni come l’Associazione Marittima di Sabbioncello, l’Associazione Marittima di Ragusa, l’Associazione Marittima Dalmata.
Anche a Capodistria ci fu chi venne invogliato a tentare la via delle attività armatoriali di fronte a tanta attività cantieristica.
L’idea si concretava in occasione del varo del bark “Favilla” (25 aprile 1869) e nell’euforia dei discorsi tra i molti invitati alla cerimonia e alla festa che era seguita nella sala del tracciato del cantiere Poli. Un comitato promotore studiava e metteva a punto uno statuto sociale, che otteneva l’approvazione governativa in tempi brevi.
Nel settembre del 1869 aveva luogo il congresso degli azionisti, che nominavano presidente e direttore Nicolò de Madonizza e che approvavano l’acquisto a patti convenienti del brick “Albona” ex “Teresa Ivo” di 320 tonn., costruito a Fiume l’anno prima, il quale partiva subito con un carico di doghe per Cette al comando del giovane capitano G.Rismondo di Rovigno. Giungeva felicemente in porto dopo 23 giorni di navigazione e ripartiva subito, in zavorra, per Cavala dove approdava favorito da vento propizio dopo soli 9 giorni di viaggio. Nel successivo mese di dicembre faceva vela per Londra con un carico di tabacco, giungeva a destinazione il 3 febbraio, passava a Cardiff che lasciava il 13 marzo con un carico di carbone destinato a Costantinopoli.
Il buon affare suggeriva all’Associazione l’acquisto del bark “Favilla”, che i proprietari cedevano al solo prezzo di costo più un interesse annuo del 5%, il tutto in azioni dell’Associazione rinunciando inoltre, a favore della stessa, al nolo del viaggio effettuato da Trieste a Bordeaux con carico di doghe.
Il “Favilla”, che si trovava al comando del capitano G.Sandrinelli di Trieste, veniva ramato sul posto e ripartiva il 12 novembre per le Indie da dove faceva ritorno con conveniente nolo assicurato da un carico di riso.
Frattanto si trovava in costruzione per conto dell’Associazione, nel cantiere Poli e Piscitello, il bark di 500 tonn. che veniva varato col nome di “Capodistria” il 25 gennaio 1870. Ne assumeva il comando il capitano capodistriano Alberto Pattay, chiamato da Nuova York, dove si trovava, per assistere anche alla costruzione come capitano d’armamento.
Il “Capodistria” partiva per Bordeaux con un carico di legname il 16 febbraio e giungeva nel porto di destinazione dopo soli 42 giorni di navigazione nonostante la stagione invernale.
Con l’acquisto dei tre velieri, la società aveva impiegato oltre quattro quinti del capitale sociale, ch’era di soli 200.000 fiorini, un residuo dei quali ancora da incassare. Si offriva una propizia occasione di acquistare a prezzo assai vantaggioso il brick “Quinton” di 371 tonn., costruito a Fiume nel 1868, che veniva ribattezzato “Istria” e affidato al comando del capitano rovignese Nicolò Bognolo. Che quell’acquisto sia stato un affare era dimostrato dal fatto che la società veniva sollecitata a rivenderlo con un guadagno immediato di 2000 fiorini.
L’“Istria” intraprendeva un viaggio a Smirne con un carico misto da dove passava in Mar Nero per un carico di granaglie per il Mediterraneo e per l’Inghilterra.
Il bilancio del primo anno di attività si presentava lusinghiero, la “Gazzetta di Venezia” invocava una similare iniziativa anche in casa propria e si pensava già di aprire una sottoscrizione per 200 nuove azioni con utili da assegnare secondo il bilancio del secondo anno. Azioni da collocare nell’ambito della provincia dato che gli ufficiali, i mozzi e gran parte degli equipaggi erano istriani. L’emissione avveniva il 1 giugno 1970 ma in un momento poco propizio rivelandosi i tempi gravidi di crisi politiche ed economiche delle quali risentivano anche i cantieri, presso i quali i velieri rimanevano invenduti con grande disagio della vita economica cittadina.
L’Associazione non tardava a trovarsi in difficoltà e tirava avanti ancora per qualche anno tra non pochi contrattempi, colpita anche da inopinati sinistri. L’“Istria” e il “Capodistria” navigavano per lungo tempo in perdita e solo l’“Albona” era riuscito a trovare carico utile. La “Favilla” toccava porti infetti da febbre gialla e perdeva il capitano de Foscari, il secondo Andreis, entrambi capodistriani, ed un marinaio. All’appello del presidente e direttore dell’Associazione Nicolò de Madonizza per il piazzamento di un blocco di 3000 nuove azioni, lanciato nella primavera del 1873, non rispondevano nemmeno i vecchi azionisti mentre gli impegni crescevano trovandosi in allestimento un nuovo brigantino, il “Pola”, varato il 17 aprile.
Nel febbraio del 1874, infine, il trealberi “Istria” entrava in collisione sulla rotta di Trinidad con la scuna inglese “Suaf” riportando danni. Questo incidente costituiva probabilmente il colpo di grazia perché qualche mese dopo l’Associazione Marittima Istriana veniva messa in liquidazione vendendo a terzi le navi sociali. Il bark “Favilla” poteva venir piazzato per 45.000 fiorini e il “Capodistria” per 54.000 fiorini. Forse gli amministratori si erano resi conto che le piccole navi a vela non potevano reggere più alla concorrenza dei grandi velieri che stavano comparendo sulla scena, in lotta di sopravvivenza essi stessi con le navi a vapore avvantaggiate dalla tecnologia ormai vincente.
Non restava che la linea di comunicazione costiera col centro di attrazione di Trieste alla quale veniva rivolta l’attenzione degli imprenditori locali. (vedi il Quaderno AMA Nº10/90).
Tramontata l’iniziativa armatoriale e cessata l’attività del cantiere Poli, che per quasi mezzo secolo aveva costituito il punto di riferimento produttivo ed economico più importante, la situazione appariva assai degradata ma ridimensionata realisticamente alla situazione generale e alle possibilità locali.
L’attività cantieristica minore non subiva soste e si estrinsecava nel lavoro, magari con pause, degli altri squeri e cantierini.
Nel primo dopoguerra troviamo a continuare la sua attività il cantiere Deste, che passava poi alla SATIMA di Trieste. Veniva varata qui, nel maggio del 1925, la grande goletta a tre alberi di tipo americano (pallboat) “Teresa Solazzi” costruita per conto dell’armatore Solazzi di Fano, varo reso assai difficoltoso per la ristrettezza dello spazio (lo scafo era lungo 31 metri e largo 8 metri) ma portato felicemente a termine sotto la guida del proto Piero Antonini. Qui erano stati costruiti per la SIAM-Società Istriana Autotrasporti Marittimi i due motovelieri “Ponente” e “Levante” di non grande portata ma di linea inconfondibile, attivi fino a questo dopoguerra (vedi Quaderno AMA Nº 10/90, pagg. 31-34).
Un’iniziativa che sembrava promettente ma che naufragava sul nascere era il Cantiere Capodistria, che agli inizi degli anni Venti acquistava gran parte dell’area dell’ex cantiere Poli costruendo verso Porta Isolana un grande capannone in cemento armato con basi per macchinario pesante (mai installato) non riuscendo a decollare malgrado gli avvisi e le segnalazioni pubblicate sugli annuari marittimi di Trieste. L’iniziativa si doveva ad alcuni capitalisti milanesi che avevano affidato la direzione della gerenza a Battista Mussi e la direzione tecnica all’ing. Ettore Fonda con l’affiancamento di Massimo Poduie e rispettivamente di E.Pullanich. Insorgevano subito difficoltà di vario genere che finivano per stancare il Mussi che ad un certo punto se ne tornava a Milano. L’area degli scali restava abbandonata salvo un deposito a cielo aperto di grossi tronchi d’albero invano destinati alle costruzioni del cantiere, successivamente venduti.
Sullo specchio d’acqua interno agli inizi del ponte di Semedella, operava modestamente uno squero di raddobbo per barche peschereccie e brazzere, caratteristico per la posizione e per i natanti che vi venivano arripati, con Antonio Grasso e il figlio, che avevano iniziato l’attività prima della guerra quando erano numerose le barche delle saline, cessando poco dopo la fine della guerra.
A San Pieri operava Pietro Girotti, che assumeva lavoro per qualsiasi tipo di naviglio in legno, specialista nella costruzione di “barche da sport”, come si qualificava in annunci pubblicitari. Non superava neanche lui il traguardo della guerra e gli subentravano per un certo periodo Zago e Ghedina, forse due suoi lavoranti messisi in società.
Lo squero veniva rilevato da Nicolò Depangher, il popolare Bocio, che in breve si imponeva come uno dei migliori costruttori tanto di naviglio da carico che di imbarcazioni da crociera e da regata, nel qual ramo il suo prestigio era indiscutibile. Basti pensare che già nel 1920 metteva a punto e produceva quel tipo di barca a vela detto “jole Capodistria” divenuto di categoria nazionale da 6 m. contrassegnato dalla lettera A, adottato in numerosi esemplari dalle principali società veliche dell’Adriatico, ed anche di Livorno e Napoli. Merita un cenno la serie della yole olimpioniche costruite su commessa della Federazione Italiana della Vela e destinate alle Olimpiadi di Kiel del 1936. Va ricordata anche la costruzione della m/n “Egida” commessa dalla Navigazione Capodistriana S.A. e varata nel giugno del 1929. Nicolò Depangher si trasferiva poi in posizione più favorevole sul terreno già del cantiere Deste tra Porta Isolana e Bossedraga consolidando e affinando la sua attività. Scendevano qui in mare non poche imbarcazioni, tra le quali il panfilo “Yucca”, commesso da un committente milanese e fornito dei comfort più moderni come la cucina a gas liquefatto. Non mancavano inoltre i motovelieri di buon tonnellaggio e vanno ricordate le ultime costruzioni a guerra avanzata, il “Nives”, il “Nova” e “Le due Pie” di 500 tonn. commessi dall’armatore triestino Missaglia in un periodo in cui acuta era divenuta la richiesta di stiva. Finita la guerra, il cantiere veniva sottratto al Depangher per essere assegnato all’autogestione operaia ma con esiti tali che dopo qualche anno veniva a cessare ogni attività con l’asporto di tutte le attrezzature e i materiali, comprese 15 imbarcazioni private che si trovavano in custodia in un magazzino che il cantiere teneva in affitto.
Intorno al 1936 entrava in attività, a Porta Isolana, il cantierino di Eleuterio (Terio) Parovel, che procedeva alla costruzione di alcune grosse motobarche da carico, quali la “San Giusto” di 200 tonn. per venir presto assorbito da un’iniziativa che sembrava destinata ad un grande sviluppo. Intorno al 1939 o poco dopo, infatti, si formava con capitale bolognese una società che acquistava tutta l’area che andava dal porto a Porta Isolana, dove in passato avevano operato i cantieri Martin, Bishop e Poli, area che veniva recintata e organizzata modernamente con scali, magazzini, sala macchine e officine meccaniche, lavorazione legno e zincheria, segherie meccaniche, falegnameria, lavorazioni al coperto, officina allestimento oltre agli uffici di direzione ed amministrazione, sala tracciato e servizi vari, con un organico minimo di 150 addetti, per costruzioni in legno fino a 700 tonn. di portata. Il cantiere prendeva il nome di I.S.T.R.I.A. e veniva affidato per la direzione generale all’ingegner Mario de Vilas.
Varo della m/n “Regina dell’Adriatico” e la sala del tracciato
L’ultimo gruppo di dipendenti
Ritroviamo qui quale dirigente tecnico e progettista l’ingegner Ettore Fonda e, quale capo cantiere, Eleuterio Parovel. L’avvio era promettente, con la commessa di una serie di motopescherecci per l’industria delle conserve ittiche della vicina Isola e con costruzioni anche più grosse, quali le motobarche “Papalina”, “Sardina”, e “Acciuga” di 120- 125 tonn. La guerra fermava anche questa attività, restavano sugli scali gli scheletri delle costruzioni interrotte (3 motonavi e 7 pescherecci) e tutto cessava dopo qualche anno di esperimento di autogestione operaia tentato con il subentro dell’amministrazione jugoslava, con l’asporto finale di tutta l’utensileria, macchinari, materie prime e corredi, attrezzature varie, ferramenta, attrezzature per impalcature, motori, semilavorati, accessori per armamento e simili, come denunciato dalla società.
Finiva così, dopo poco più di un secolo, un’attività cantieristica minore che aveva rivestito un ruolo importante nell’economia locale con realizzazioni di un livello non disprezzabile nel complesso delle costruzioni navali giuliane coprendo un settore per il quale la grande e prestigiosa cantieristica non era interessata.
Dati concernenti alcuni velieri mercantili
“George Meticke”, bark di363 tonn., 12 uomini d’equipaggio, costruito nel 1847 dai fratelli Martin per conto di Caterina Meticke, Trieste. Naufragato in Oceano nel 1865.
“Schröder”, schooner di 268 tonn., 10 uomini d’equipaggio, costruito nel 1850 dai fratelli Martin per conto degli armatori Caterina Metick, Martin Schröder Persich di Trieste e Ragusa. Venduto a Livorno nel 1861.
“Lucia”, brick di 407 tonn., 10 uomini d’equipaggio, costruito nel 1853 per l’armatore Mistrovacchi di Lemnos- Trieste, Mitinovich di Josizza (Cattaro) e Kessissoglù di Cesarea- Trieste. Venduto all’estero nel giugno del 1866.
“Primogenito”, bark di 408 tonn., costruito per conto dell’armatore Nazario Zetto, Ancona-Trieste, capitano Domenico Zetto. Naufragato presso Dunkerque nel 1864.
“Figlia Jenny”, nave di 700 tonn., 14 uomini d’equipaggio, costruita nel 1855 perl’armatore Ambrogio Ralli di Scio- Trieste, con caratisti la Riunione Adriatica di Sicurtà, Pasquale Revoltella, Cozzi e Brambilla.
“Elisa S.”, clipper bark di 380 tonn. (ridotte a 319 nel 1870) varato nel 1856 per conto di Ambrogio Ralli, passato alla sua morte alla ditta A.Ralli (1870). Venduto a Trieste, il 9 luglio 1873, a suddito norvegese.
“Rebecca”, bark di 754 tonn., L m 48,61, l m. 9,88, h m 6,66, fitto e foderato in rame, costruito nel 1871 dal cantiere Poli per conto dell’Associazione Marittima di Sabbioncello, poi tre caratisti di Gravosa, primo capitano Cassandrovich di Lissa. Naufraga il 23 ottobre 1887 presso St Thomas e viene venduto a pubblica asta perché inabile alla navigazione.
“Virginia”, bark di 290,18 tonn., fitto e foderato in rame, costruito nel 1872 dal cantiere Poli per Enrico Fonda di Pirano-Trieste, capitano Francesco Corsano di Lussinpiccolo. Naufragato il 7 aprile 1880 nei pressi di Atwood Cap nelle Antille.
“Filadelfia”, bark di 858 tonn. lorde, L m 49,86, l m 9,74, h m 6,66, 13 uomini d’equipaggio, fitto in ferro galvanizzato e foderato in rame, costruito nel 1876 per gli armatori Tonetti e Fonda e 7 caratisti, primo capitano Francesco Poldrugo di Fianona. Soggetto a defatiganti vicende giudiziarie, nel maggio del 1896 veniva venduto a Bahia a seguito di dichiarazione di abbandono per avaria. Passava in proprietà a suddito italiano.
“Solerte”, lugger a tre alberi di 259 tonn. lorde, fitto e foderato in metallo giallo, L m 33,75, l m 7,04, h m 3,82, costruito nel 1881 per l’armatore Enrico Fonda di Pirano, eredità giacente nel 1886, passato ad Anton Orebich e 15 caratisti.
Degli 86 navigli ordinati o comperati dagli armatori lussiniani fuori Lussino, sono stati costruiti a Capodistria i seguenti (Giovanni Girolami “L’Isola Marinara”, 1951).
1853 |
“Positivo” |
bark |
500 tonn. |
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1854 |
“Ghita” |
bark |
580 tonn. |
Naufragato a Whitehaven nel
1860 |
1855 |
“Leda” |
bark |
470 tonn. |
Demolito nel 1875 |
1855 |
“Protetto” |
bark |
660 tonn. |
Ex “Nicolaj”, naufragato presso Ajaccio in Corsica |
1856 |
“Nemesi” |
brigantino |
530 tonn. |
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1856 |
“Tauro” |
brigantino |
560 tonn. |
Naufragato a Rio de Janeiro nel 1874 |
1857 |
“Fido” |
brigantino |
550 tonn. |
Naufragato presso San Sebastiano, Catalogna, nel 1881 |
1857 |
“Carla” |
nave |
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Il capitano di lungo corso Nazario Zetto (1790-1866) ritratto con la decorazione del cavalierato di San Gregorio Magno, la croce d’oro al merito con corona, e la medaglia d’oro al merito, testimonianza di un’attività degna di apprezzamento. Insieme al fratello cap. Domenico, il cap. Nazario era armatore di tre velieri con i quali veniva esercitato un attivo commercio con il Levante e con l’Egitto. Il cap. Domenico si distingueva, anzi, per la celerità con cui, sfruttando al massimo le vele, riusciva ad effettuare i suoi viaggi. I velieri erano il brick “Corriere d’Egitto” di 206 tonn. ed il bark “Istria” di 270 tonn., varato nel 1839 a Trieste ed abilitato per la navigazione di lungo corso con 12 uomini di equipaggio e proprietà divisa in ragione di 16 carati per Nazario e 6 carati per Domenico, con al comando il cap. Paolo Circovich finché, nel 1855, dopo 16 anni di intenso impiego, il veliero veniva venduto all’estero. Del terzo veliero, lo “Zorniza”, andato perduto per naufragio, non si conoscono i dati. (Mario E.A.Zetto- “Stranonni”, 1974) |
Il busto di donna, scolpito in legno, dono al Civico Museo di Storia e d’Arte di Capodistria del sig. Guido Zetto, nipote del fu capitano marittimo Nazario Zetto, è una di quelle caratteristiche figure chiamate polene che, quando i navigli a vela erano gli unici mezzi di trasporto per mare, fregiavano le prore delle navi. Vedi vignetta. Si vendevano nelle botteghe come gli altri oggetti necessari alla navigazione ed intorno ad esse lavoravano specialisti del genere che non di rado, sebbene umili lavoratori, presentavano opere d’arte.
La nostra polena, modellata probabilmente a Capodistria, rappresenta la Medusa, stemma della città, a giudicare dal severo cipiglio e dai due serpenti che frammischiati ai cappelli le avvolgono il capo. La polena, senza tener conto del valore artistico, è per noi specialmente importante perché apparteneva al naviglio “Corriere d’Egitto” comandato dal su nominato capitano Zetto e dimostra la parte che prendeva la nostra città all’arte della navigazione nella quale ebbe ed ha ancora arditi e valenti campioni.
Al principio del 1800 non era sì comodo navigare per il Mediterraneo. Nessun naviglio che si fosse staccato da Trieste era sicuro di arrivare nel Levante senza la sorpresa di qualche attacco da parte dei pirati, che corseggiavano quei mari, ed animosi e forti dovevano essere i capitani che imprendevano quei viaggi.
Uno di questi attacchi dovette essere sostenuto anche dal naviglio austriaco “Corriere d’Egitto”, la prora del quale era ornata dalla polena di cui parliamo, che comandato dal capitano Nazario Zetto partì da Trieste nel 1828 con una commissione per S.A.R. Mehemet Aly allora regnante nell’Egitto. Egli doveva portare a quel principe un involto contenente brillanti del valore di oltre 200.000 fiorini, affidatogli dal sig. Pietro Iussuff di Trieste, fratello di S.E. Bogos Bey, ministro di S.A.R.
Durante il viaggio alle viste del capo Razatin i pirati greci, forse avvisati della cosa, assalita la nave, la predarono e spogliarono di tutto il carico, dei denari e persino dei vestiti, minacciando il capitano di ucciderlo se avesse nascosto qualche cosa; ma il capitano sprezzando la propria vita consegnò tutto ai ladroni meno il tesoro affidatogli, da lui sì avvedutamente celato, che per quante ricerche si facessero dai pirati non fu potuto trovare; sicché egli arrivato in Alessandria spoglio di tutto poté consegnare il prezioso involto a S.A.R. dalla quale fu a dir vero meschinamente ricompensato.
È importante quindi per noi quest’oggetto, perché attesta la parte presa dai nostri figli alla vita marinara nel secolo scorso, perché ci ricorda l’arte dell’intaglio in legno e ci dimostra che da noi fu valorosamente coltivata, perché ci fa sovvenire d’uomo onesto e coraggioso che arrischia la vita per salvare un deposito a lui affidato, nobile campione di lupo marino che fa onore a sè e alla patria. Francesco Majer
(da
“Pagine Istriane”, n° 6-7, giugno-luglio 1911)
Polena di bastimento a vela capodistriano; scultura a tutto tondo in legno intagliato: altezza metri 0,90. In forma di erma femminile, coperta da una tunica che si raccoglie in un nodo sul seno, con capelli lunghi, calati sulle spalle dai quali spuntano due serpentelli che le intrecciano sotto la gola. Nella sala maggiore al primo piano. Apparteneva al bastimento «Corriere d’ Egitto» di proprietà del Capitano Nazario Zetto. In discreto stato. Buona opera del principio del sec. XIX |
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Capodistria, Museo Civico Arte veneta Principio del sec. XIX: Polena di bastimento a vela |
Polena di bastimento capodistriano; scultura a tutto tondo in legno intagliato: alt. m. 1,10. Rappresenta un cavallo marino con le zampe anteriori a terminazione in forma di fogliami e la fronte posteriore del corpo bipartita in forma di pesce. Nella sala maggiore al primo piano. Dono del Sig. Antonio Fonda-Savio di Trieste. In buono stato. Opera del principio del sec. XIX. |
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Capodistria, Museo Civico Arte veneta del sec. XIX Polena di bastimento a vela |
Polena di un bastimento a vela capodistriano; scultura a tutto tondo in legno intagliato: altezza m. 1,35. Rappresenta una donna con la testa leggermente china, i capelli solcati dal vento e le due braccia levate in alto ed alquanto piegate indietro. La sua figura, completamente nuda, probabilmente una Naiade,finisce al bacino ove è limitata da una specie di cintola. In buono stato. Opera del principio del secolo XIX. |
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Capodistria, Museo Civico Arte veneta del sec. XIX Polena di bastimento a vela |
(Da Inventario degli oggetti d’arte d’ Italia – Vº
Provincia di Pola – Libreria dello Stato 1935)