CASTELLI ROCCHE E TORRI DELL’ ISTRIA

 

 

Sul crinale dello spuntone roccioso che incombe in alto, nella controluce di un cielo mutevole, ora terso ora coperto di nubi temporalesche, ondeggia un’erba dura e inselvatichita tra rovi abbarbicati ai piedi di torri e muraglie sbrecciate, ricettacolo di serpi e di ramarri.

È questa l’immagine che per lo più resta di un mondo scomparso, isolato ed estraneo alla nostra cultura, che ha lasciato tuttavia la testimonianza di un periodo e di un modo di vivere che poco ha concesso agli agi e agli ornamenti della civiltà latina e rinascimentale. Frutto di un sistema di inestricabili infeudazioni iniziato nell’epoca carolingia, che ha aperto la porta a non poche dinastie tedesche laiche e religiose soggette però ad evoluzioni fino a sparire lasciando comunque di loro un ricordo che il trascorrere del tempo ha sbiadito ma non cancellato. Sono i patriarchi che siedono sulla cattedra di Aquileia quali Volchero di Ellenbrechtkirche e Bertoldo degli Andechs. Sono i conti di Gorizia che dominano la valle del Vipacco con un occhio all’Istria, i Duinati con la rocca a picco sul mare, che taglieggiano chi vi passa troppo vicino, i Walsee che ne raccolgono l’eredità , per scendere ai minori Sponheim, Lueg, Guteneg, Raunach, Walderstein ed altri ancora bavaresi, tirolesi e carinziani. Tutta una serie di capisaldi che segnano la linea dell’avanzata fino a lambire la città di Trieste, dominata dal grande castello dell’imperatore Federico III.

Ad un certo momento si deve fare i conti con i Veneziani che, posto stabile piede nella fascia costiera occidentale dell’Istria, si spingono nell’interno contrastando le signorie feudali con fatti d’armi e giochi di mutevoli alleanze a non finire. Ne consegue, con l’aggravante di ricorrenti epidemie e carestie, lo spopolamento con la necessità del ripopolamento per il quale si apre la via alle immigrazioni dalla Balcania e dal vicino Friuli creando altre ragioni di contrasto.

Detto in breve l’Istria si trova divisa in due parti, la veneta o Marchesato e l’arciducale o Contea. Le circoscrizioni ecclesiastiche restano per lo più aderenti al tracciato delle antiche circoscrizioni di origine romana per cui i vescovati, quali quelli di Parenzo e di Pola, mantengono le loro spettanze al di là dei confini politici che non sempre sono definiti chiaramente, ulteriori motivi di contrasto.

La parte interna dell’Istria, la Contea, resiste a lungo nella sua struttura feudale malgrado il progresso dei tempi. È singolare che i feudi finiscono per essere considerati beni materiali possibili di vendita, di ricupero, di permuta, di affitto, di ipoteca, frazionati magari tra vassalli e ministeriali, cavalieri e figure minori attorno alle quali ruota la vita della povera comunità contadina. È così che accanto a signori tedeschi vengono a trovarsi italiani muniti di molto denaro da spendere o da dare a prestito, quali i Morosini, i Grimani, Dalla Torre, Barbo, Petazzi, Leo, Brigido, Lantieri, Montecuccoli ed altri titolati minori che continuano a godere certi utili di origine feudale fino al 1848, quando vengono aboliti cessando di fatto dopo qualche tempo ancora. È così che anche da queste parti remote o isolate arriva un ingentilimento dei costumi.

Di gran parte di queste grifagne e poco comode dimore poco rimane, a volte solo mura sbrecciate e cadute, silenti vestigia fuori mano ma non prive di qualche romantica suggestione. È esistita un’epoca in cui si è amato costruire false rovine di castelli che non sono esistiti, esiste addirittura sulle pendici del Monte San Marco di Capodistria un piccolo castello, turrito e merlato, fatto costruire per sua dimora, nel 1885, dal marchese Pio Gravisi Barbabianca. Scrive Giuseppe Caprin nel 1895 in “Alpi Giulie” : «Una gran parte dei castelli profila il suo scheletro nell’aria; alcune piante erranti, quasi non trovassero pace e riposo, cercano alimento tra i crepacci dei muri. Nel ventre di quelle torri, un po’ d’acqua piovana marcisce nelle pozze ed i rospi saltano in quella melma liquida più verde dello smeraldo. I lembi delle cortine proiettano delle grandi ombre, per cui un senso di diffidenza trattiene il passo. Ripugna entrare in quel fulminato recinto che sembra nascondere nel suo grembo il segreto di qualche delitto. L’occhio cerca una pietra mortuaria, una sepoltura; si vorrebbe sapere dove riposano quei feudatari. Ed una dopo l’altra le domande corrono al labbro: “Sono forse fuggiti? I loro corpi sono stati divorati dai corvi? O le loro ceneri vennero gettate al vento?”»

 

La situazione sociale ed economica dell’Istria veneta si presenta ben diversa. Inizialmente infida è la zona costiera dove città come Capodistria, Pirano e Parenzo intendono difendere le libertà comunali strappate al patriarca di Aquileia per cui necessita a Venezia disporre di caposaldi da servire come teste di ponte in caso di necessità. Così quel singolare fortilizio chiamato Belforte costruito su di una nave carica di pietre portata ad affondare su di un bassofondo in mezzo al mare tra Monfalcone e Duino. Da non dimenticare il Castel Leone eretto nel 1200 a cavallo della strada di terraferma tra Capodistria e la costa di Canziano, il castello di Sipar non lungi da Umago, il cui sito è segnato da uno spuntone di muraglia sulla scogliera appena uscente dal mare, e l’imponente rovina della Torre di Boraso presso Rovigno.

Esistono anche alcune signorie di ordinamento feudale la più importante delle quali è quella di Pietrapelosa con il grande castello affidato da Venezia ai Gravisi. nel 1400, ridotto ad un cumulo di rovine a seguito di un furioso incendio incidentale scoppiato nel 1625.

Alcuni castelli, perduta la funzione militare, vengono ridotti a dimore ingentilite e mantenute in stato di buona abitabilità come i castelli Grimani e Bembo a Sanvincenti e a Valle la cui vecchia funzione resta rivelata da torri angolari.

Non rari i capisaldi minori, addossati a volte ad una caverna come a Popecchio e Cernical, per rifugio e difesa contro le scorrerie dei Turchi che nel 1400 e agli inizi del 1500 arrivano fino in vista del Golfo di Trieste dopo aver devastato i territori arciducali.

Due mondi in conclusione ben diversi sotto più di un punto di vista ma tuttavia non impermeabili a qualche reciproco scambio del quale trovano giovamento sopra tutto le terre arciducali abitate da poveri contadini di costumi arretrati in mano a signorotti essi stessi di non alto livello, non legati al luogo da essi abitato tanto da non lasciare alcuna traccia della loro antica presenza.

Un’attenzione particolare spetta al castello di Pisino, il solo ad attraversare fino ai giorni nostri, con il castello di Sanvincenti, le congiunture di più secoli con funzioni diversificate nel tempo passando in più mani  private e pubbliche.

 

Galleria dei disegni

 

 

Il cinquecentesco Leone Marciano già murato sul Castel Leone di Capodistria

 

 

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