"CAVOUR"
UNA NAVE POCO FORTUNATA
Prendeva il mare nel 1913, facendosi vedere per la prima
volta, una grossa nave grigia di quelle “da guerra” che esibiva una linea
architettonica inconsueta. Sembrava una costruzione frettolosa e alquanto
trascurata con uno scafo quasi privo di sovrastrutture oltre quattro sgraziate
ciminiere disposte affiancate due a due, e a livello della coperta quattro
torri trinate con cannoni da
Era
L’Italia non era rimasta comunque a guardare e tra il 1910 e il 1914-15 prendevano il mare 5 di queste navi che i più continuavano a chiamare corazzate, per tacer di una successiva classe “Caracciolo” non realizzata.
Una di queste navi, catalogata come nave da battaglia di I.a
classe, è stata la “Conte di Cavour”, che entrava in servizio il primo aprile 1915 e
passava indenne e senza storia attraverso le maglie della prima grande guerra. Nell’agosto
del 1923, all’epoca della crisi delle relazioni diplomatiche dell’Italia con
Rimessa a galla il 22 dicembre successivo dopo sbarcati i grandi pesi dell’armamento e della centrale telemetrica del torrione, la “Cavour” veniva trasferita al Cantiere Navale San Marco di Trieste per un nuovo ripristino con particolare riguardo alla difesa contraerea.
I lavori andavano a rilento a causa delle crescenti difficoltà conseguenti come si sa allo stato di guerra tanto che l’8 settembre 1943 non era ancora in grado di prendere il mare. L’equipaggio militare veniva sbarcato la sera del 10 settembre e il giorno dopo la nave cadeva in mano tedesca che però la lasciava in uno stato di quasi completo abbandono perché inutilizzabile, spostandola solamente dalla banchina di allestimento da lasciar libera per altri lavori.
La zona entrava nel raggio d’azione dell’aviazione anglo-americana e fu così che la “Cavour” durante un bombardamento fu fatta segno al lancio di bombe due delle quali raggiungevano il bersaglio. Non è che il danno provocato sia stato molto grave ma si apriva per sconnessione di alcune lamiere della carena una via d’acqua che provocava l’abbassamento del bordo libero della fiancata fino agli oblò e boccaporti che nessuno aveva chiuso. Il grande scafo sbandava tanto, come succede in casi del genere, da ruotare completamente portando la carena in vista mentre le sovrastrutture (torri, torrione, ciminiere, tripode) finivano a rovescio nel fango del bassofondo. Era il 20 febbraio del 1945.
Lo specchio d’acqua del vallone di Muggia, finita la guerra, appariva seminato di relitti tra i quali emergevano sbandati sul bassofondo i transatlantici “Sabaudia”, “Giulio Cesare” e “Duilio”, lo scafo della corvetta “Berenice” affondata il 9 settembre del 1943 colpita dai tedeschi e vi si specchiavano le rovine degli stabilimenti rivieraschi. Non lungi, tra Capodistria ed Isola, mostrava la carena l’enorme scafo del transatlantico “Rex”, nave ammiraglia della marina mercantile.
I lavori di sgombero e di ripristino risentivano delle
difficoltà determinate dai contrasti politici riguardanti la sistemazione del
territorio di Trieste ma finalmente arrivava la volta del relitto della
“Cavour” che veniva posto in vendita all’asta dal Ministero della Guerra.
Vinceva l’imprenditore Armando Vasi di
Il lavoro iniziava l’8 dicembre 1950. Esiste un buon servizio
giornalistico firmato da Giorgio Gori che seguiremo alla lettera. Bisognava
prima di tutto esaminare la situazione, controllare la giacitura della nave e
prendere visione dello stato in cui veniva a trovarsi. Bisognava poi decidere,
dopo reso galleggiante il relitto come stava con la carena in alto, se
conveniva raddrizzarlo come avvenuto a Taranto con la “Leonardo da Vinci”
oppure no. Il basso fondale di 12 –
Sulla parte emergente della carena venivano saldate otto
garitte stagne per l’accesso nell’interno della nave grazie alla manovra di due
portelli ad apertura alternata che consentivano il mantenimento dell’aria
compressa a 1,5 atmosfere fornita da compressori sistemati sul posto. Valutato
il fatto che anche a relitto riportato a galla le sovrastrutture avrebbero
toccato ancora il fondale marino impedendo ogni movimento, veniva deciso di
procedere al loro taglio e di lasciarle per il momento sul luogo
dell’affondamento. Quattro garitte si trovavano in corrispondenza dei quattro
pozzi delle torri dei cannoni di grosso calibro, cilindri del diametro di
Il pompaggio dell’aria proseguiva ininterrottamente abbassando il livello dell’acqua interna, gli operai lavoravano indefessamente in superaffaticamento preparando quattro grandi locali a prua, poppa e lungo le due fiancate. Uomini, detti nel linguaggio di mestiere “campanari”, muniti di perfetta idoneità e resistenza fisica, in ambiente reso infido dal fango e dai residui di nafta, con una temperatura surriscaldata tanto alta da richiedere il raffreddamento delle lamiere con getti d’acqua sulla carena.
Pian piano la forza di sollevamento che nessun pontone
poteva fornire veniva ora a crescere nell’interno della nave, tanto da
permettere ai palombari di farsi sotto la coperta e procedere al taglio ossi-propanico
di tutte le soprastrutture ancora esistenti. Un lavoro richiedente anch’esso
molta perizia, che teneva occupati sei uomini per complessive 9.600 ore. Ma fu
l’ultimo. La pressione dell’aria pompata con circospezione finiva per liberare
dall’acqua i vari compartimenti stagni e finalmente la “Cavour” si staccava dal
fondale, saliva e la carena arrivava ad emergere fino ad un massimo di
Il relitto veniva rimorchiato tra Punta Sottile e Punta Olmo e lasciato su di un basso fondale a disposizione dei demolitori che non si facevano attendere.
Resta la memoria di una nave rappresentativa nella storia marinara e di una impresa degna di essere additata quale esempio di straordinaria capacità, impegno e valore.