Sul mar del Giappone


Giunca di Nanking



I mari dall’Indonesia all’Indocina e all’Estremo Oriente sono popolate da genti che sul mare nascono, sul mare vivono,operano e muoiono. Non prive di un’antichissima civiltà che ha resistito facendo fronte finché possibile all’avanzata, non di raro spregiudicata, della civiltà occidentale per cedere infine alla forza delle cannoniere europee e americane infiltratesi nel tessuto costiero approfittando dell’ esaurimento statale e sociale anche a causa di lotte intestine, di stanca, verificatosi col decorso dei secoli.
Così nella Cina con la guerra detta dell’oppio (1840-42) provocata dall’Inghilterra, che apriva la via alle concessioni extraterritoriali sia pure rigorosamente circoscritte e con la rivolta dei Boxer (1899-1900) quando si verificarono massacri tali da indurre le potenze occidentali ad intervenire con una forza militare interalleata acquistando alla fine nuove concessioni.
Il Giappone, diviso tra un potere centrale e poteri d’ordine feudale, presentava un quadro diverso ma condivideva almeno in parte i problemi determinanti con il primo contatto avanzato dagli Stati Uniti che nel 1853 ottenevano concessioni extraterritoriali e l’apertura al commercio estero di alcuni porti. Ma a partire dal 1869 - 70 il Giappone imboccava la via delle riforme e delle innovazioni bruciando le tappe che alla fine del secolo l’avrebbero portato su posizioni già di rilievo internazionale culminato nella guerra con i Russi del 1905.

Dopo un inizio promettente di relazioni tra l’oriente e l’occidente verificatosi nel 1600, seguivano secoli di diffidenza, di proibizionismo, di chiusura di contatti d’ogni genere, in Giappone forse più che in Cina o nelle loro aree di influenza. Le costruzioni navali, di natanti minori e di barche seguivano una propria via assai caratteristica, al di fuori di ogni scambio culturale anche tra zona e zona locale con una gamma molto estesa di tipi grandi e piccoli che rappresenta oggi motivo di attrazione per la loro originalità mantenuta integra.
Prendeva piede un’imbarcazione detta “bezai-sen”, favorita dai signori feudali tra i centri di Edo (Tokio) e Osaka, che si diffondeva un po’ dappertutto con punta massima nel 1700 divenendo il cabotiero preferito, magari poco adatto alle lunghe navigazioni ma costruito fino alle 150 tonnellate di portata. Il fatto di trovare tra l’equipaggio oltre al comandante e a due ufficiali anche il cuoco e il suo aiuto, gli addetti alle pulizie e un commissario di bordo indica che si trattava di un naviglio di tutto rispetto, misto per passeggeri e merci, ricordato da molti dipinti d’epoca. Inizialmente usato nella navigazione soltanto diurna e con bel tempo, subiva modifiche e adattamenti che consentivano l’aumento della velocità di crociera e percorsi anche notturni. Da notare che il tratto di mare tra Edo e Osaka (400 miglia) era la più tempestosa per cui in alcune zone la navigazione veniva sospesa nel periodo invernale.
Nel 1870 il governo, per prevenire i molti naufragi che si verificavano, introduceva nuove norme riguardanti la costruzione ma incontrava non poche resistenze dato che il “bezai-sen” si prestava meglio di altri tipi nei traffici locali per capacità e semplicità nelle operazioni di carico e scarico, facilità di manovre in acque ristrette, possibilità di arripamento, equipaggio ridotto (una sola vela), costruzione e costi di esercizio più bassi.
Si arrivava al 1887 quando il governo proibiva la costruzione delle barche tradizionali (all’epoca se ne trovavano in cantiere 500) ma non pochi armatori trovarono il modo di eludere la proibizione ricorrendo a più di un ripiego tale da salvare sostanzialmente i tipi.
È fuori portata in questa sede una ricognizione coordinata dell’argomento come meriterebbe per cui ripiegheremo a titolo di esempio sui due tipi più diffusi grazie a quanto ha scritto Shunichi Yamamoto sulla rivista “Yacht Digest” in due numeri pubblicati nel 1993 e nel 1997.

Nel maggio del 1992 veniva varata a Ofunato, zona ricca di squeri a 500 chilometri a nord di Tokio, la nave “Kesen Maru”, riproduzione di una “sengo kobune” dell’epoca Edo, anche questa non abilitata al mare aperto. Tipo largo, di scarsa immersione, con timone sollevabile, un albero smontabile e tenuto per traverso, murate centrali smontabili legate all’estremità.
Era stato il modellista Mimuna Tohryo che aveva pensato ad una costruzione in scala reale prima che gli ultimi carpentieri di Ofunato scomparissero. Interessava il capo della corporazione, ne rimaneva una sessantina tutti vecchi. L’Expo (?) giapponese sponsorizzava l’iniziativa , che richiedeva una spesa di 700 milioni.
La nave veniva costruita senza disporre di un piano configurabile ai piani odierni, con scafo lungo 18,5 metri, largo 5,75 metri zavorrato con sacchetti di sabbia, senza ordinate, con solo i bagli, coperta sollevabile, un alto albero con vela di quattro ferzi ammainabili separatamente, calafataggio con carta, cordame di paglia e lacca, capacità di carico di 60 tonnellate, equipaggio di 8 uomini (con timoniere sotto coperta e una vedetta fuori che dava le indicazioni di barra), una sola cabina per il capitano e l’altare di bordo, due piccoli quartieri. Corredo di quattro remi e una barca tradizionale di 8 metri tenuta probabilmente a rimorchio. Legname di cedro, quercia e pino rosso. La nave, come le antiche, non era dipinta e solo l’opera viva veniva spalmata con una mistura di trementina e nerofumo.
La costruzione durava un anno, dopo un periodo di esposizione pubblica passava al museo di Ofunato. Aveva navigato per un solo giorno.

Aldo Cherini  

galleria dei disegni




Barca Ainu

home page