“Jeremias O’Brien” 1943, Liberty di tipo base
Non poche sono le navi che
hanno lasciato il loro nome nel corso della storia, basti citare le tre
caravelle o naos di Cristoforo Colombo, “Nina”,
“Pinta” e “Santa Maria”(1492), la
“Victory” di Nelson (1805), il transatlantico
“Titanic” (1912), non escluse le galere della battaglia di
Lepanto (1571). Ma ciascun cultore di storia navale potrà
presentare un elenco ben nutrito. Alcune di queste navi sono note
generalmente, ma temiamo che i più non sanno nulla di storia
navale.
Nella storia navale è
il tipo “Liberty” a non aver uguali nel vastissimo panorama
dei tipi per concezione, costruzione e numero di unità passate
in armamento con la bandiera degli USA, unico complesso statale in
grado di attuare un programma del genere per organizzazione, potenza
industriale, disponibilità di materie prime, potenza economica
che hanno reso possibile una simile e irripetibile attuazione sotto la
spinta di un conflitto immane che sul mare ha giocato una delle carte,
la principale, che ha portato alla vittoria la coalizione nella quale
gli USA avevano assunto il ruolo di testa.
Va
detto in premessa che il tipo di nave conosciuto come
“Liberty” è una nave da carico frutto di un disegno
di partenza unico ma realizzato in più versioni con varianti
notevoli e ciò si spiega dovendosi tener conto del carico,
pesante o leggero, refrigerato o no, solido o liquido, e di servizi
quali il picchetto radar e trasporto truppe. Unità da carico, si
è detto, per cui le “Liberty” non sono comparse come
unità di aspetto impressionante quale è il caso della
grande nave da battaglia, ma come una modesta “carretta”
tutta scafo quasi senza sovrastrutture.
La questione dei
trasporti marittimi era stata presa in considerazione negli Stati Uniti
già nella metà degli anni 30 considerando il fatto come
indice di debolezza dato che per la costruzione delle navi si disponeva
soltanto di 50 scali per cui nel 1936 veniva costituita l’US
Maritime Commission (USMC) incaricata di promuovere la costruzione di
una flotta moderna. L’anno dopo, nella presunzione che intorno al
1947 sarebbe scoppiata la guerra, si metteva a punto un piano per la
costruzione di 50 navi all’anno con turbine a vapore capaci di
sviluppare una velocità di 14 – 16,5 nodi, ma nel 1941 il
92% delle navi atte alla navigazione oceanica aveva ancora
un’età superiore ai 20 anni.
Nell’ottobre del 1940
arrivava una missione britannica incaricata di studiare i mezzi atti a
risolvere la crisi verificatasi in Inghilterra. Il cantiere J.L.
Thompson & Sons di Sunberland aveva costruito una nave da carico di
10.000 tonn. con motrici di 2.500 C V seguita da una versione
semplificata. Questa nave non andava bene per gli Americani che
puntavano sulla tecnologia della saldatura autogena in cantieri da
costruire ex novo. Gli Inglesi contattavano allora l’imprenditore
Henry J. Kaiser che, fiutando l’affare, sceglieva le
località di Richmond e South Portland per l’insediamento
all’uopo di nuovi scali. Il 20 dicembre 1940 seguiva la prima
fase con 3 cantieri e 7 scali ciascuno per la costruzione del tipo
inglese “Ocean” modificato.
Ma il 27 settembre precedente
era stata già varata la “Patrick Henri” che è
da considerare la prima nave del tipo Liberty destinato a divenire in
breve la più importante e rispondente nave logistica
dell’intera storia della marina, a livello mondiale.
Si trattava di adeguare i
progetti alle esigenze della produzione di massa: eliminazione il
più possibile delle strutture curve, semplificazione delle
sovrastrutture ridotte ad un blocco unico centrale unica parte
abitabile della nave, coperta continua spianata, alberi monofusto,
impiego quasi esclusivo del metallo tranne che per la chiusura dei
boccaporti, ponte in acciaio capace di sostenere carichi pesanti,
dotazione ridotta di ancore e catene. Navi sotto taluni aspetti
spartane, prive di apparecchiature di governo non strettamente
necessarie, ma pienamente rispondenti alle esigenze di una guerra senza
quartiere. Una sola sovrastruttura in posizione centrale su tre piani
unica parte abitabile ma ridotta all’osso. L’apparato
motore di base era dato dalla macchina a vapore a triplice espansione
standardizzata, 2500 HP e velocità 10 nodi,
elica a quattro pale, con caldaie a nafta, di costruzione semplificata
e manutenzione facilitata , richiedente addetti più facilmente
reperibili o addestrabili, salvo in determinate versioni per impieghi
particolari.
In sede di caratteristiche
generali la stazzatura di base era abbastanza alta, poco più di
14.000 tonn. la stazza lorda, 81 uomini di equipaggio più gli
artiglieri e i mitraglieri. Sette i tipi derivati: carboniera,
trasporto carri armati, trasporto aerei, navi cisterna, ospedale ,
trasporto prigionieri e trasporto animali.
Una Liberty del tipo di base
poteva caricare molti carri ferroviari e più ancora di jeeps,
carri armati leggeri, milioni di cartucce e milioni di razioni C
(alimentari).
La produzione occupava un ben
alto numero di addetti suddivisi in 10 cantieri direttamente
impegnati mentre altri numerosi cantieri minori si presentavano a dare
una mano. L’Oregon Shipbuilding Corp con 35.000 addetti
costruiva 322 navi nella media di 17 per mese. Il Bethlehem-Fairfield
con 27.000 operai ne costruiva 384, il California Shipbuilding 306, 12
al mese. Una società con due cantieri ne costruiva 85 e 66, la
media più bassa verificata ma tuttavia significativa.
Interessante la prestazione del cantiere Permanente Metals Co di
Richmond che riusciva ad assemblare e varare una Liberty in tre giorni
e mezzo. Risultati conseguenti ad una attenta organizzazione centrale
che impegnava un alto numero di stabilimenti industriali dislocati in
tutti gli USA, che producevano parti grandi e piccole in sezioni che
venivano mandate agli scali dei cantieri per l’assemblaggio
generale finale e il varo. Questi cantieri non avevano l’aspetto
tradizionale della categoria, non vistose attrezzature, ma gru
predisposte per l’assemblaggio. Ampliato al massimo il sistema
della saldatura autogena delle parti prefabbricate, con impianti mobili
continui, che comportava chilometri di saldature al tempo in cui questa
tecnica era ancora poco sperimentata con la conseguenza di cedimenti
lamentati da più parti. Un altro problema riguardava la
stabilità della nave scarica con la conseguenza
dell’imbarco di zavorra supplementare e il pronunciato rollio con
mare mosso. Venivano impegnati anche cantieri canadesi, i quali non
erano attrezzati per la saldatura autogena mantenendo ancora
l’impiego della chiodatura, le caldaie a carbone e più
impiego del legname dove possibile.
In fatto di costi, di termini
economici, le Liberty risultavano navi molto costose, oltre il doppio
di un sommergibile tedesco, il protagonista avversario più
temibile e più impegnato, e nell’insieme hanno raggiunto
una stazza globale ben superiore a quella di tutte le navi militari
americane, indice questo di quale sia stata la grandezza dei servizi
logistici richiesti dai fronti di guerra e quale sia stata la potenza
economica, organizzativa e produttiva degli USA.
Tra
il 1941 e il 1945 venivano varate 2.710 navi , tra le quali 2.580 del
tipo base, 24 carboniere, 62 cisterne, 8 per carri armati, 36 per
trasporto aerei. Ne andavano perdute 240, delle quali 4 o 5 al primo
viaggio.
Non bisogna credere in
definitiva che le Liberty, pur essendo navi di estremo interesse nate
fortunosamente in tempo di grandi crisi, siano state un prodotto
perfetto. Infatti non poche di esse, passate all’armamento
privato dopo la fine della guerra, ma anche nel corso dei servizi
bellici, venivano sottoposte a lavori di rinforzo specialmente dello
scafo.
Finita la guerra
nell’estate del 1945, gli USA venivano a trovarsi un grosso
surplus di navi commerciali comprese le Liberty, valutato in 40.000.000
di tonnellate. Veniva costituito un Postwar Planning Comitee con
l’incarico di studiare le esigenze del commercio marittimo dal
quale derivava nel 1946 la National Defense Fleet che curava la messa
in disarmo (detta ironicamente in naftalina) di un gran numero di
unità distribuite in diverse località. Non poche Liberty
venivano vendute all’estero in ragione di 106 alla Gran Bretagna,
100 alla Grecia e all’Italia, 75 alla Francia , 24 alla Norvegia,
18 alla Cina.
Rimaneva comunque in riserva
un alto numero di unità, che diminuiva lentamente nel tempo
grazie ad altri trasferimenti, o assegnate a compiti speciali o
sperimentali. Scoppiata la guerra di Corea nel
1950 e la crisi di Suez del 1956 venivano mobilitate 130 unità
da servire però come deposito di cereali mentre le altre
finivano alla demolizione.
Rimane oggi la “Jeremiah O’Brien”
ormeggiata in una cala di San Francisco come nave museo, tacito
monumento ad una categoria di navi che non ha l’eguale in tutta
la storia marinara.
Bibliografia
- Fabbri Editori – Storia della Marina, Profili vol.10 - AA VV, “Le navi tipo Liberty”, Milano, 1978
- Wikipedia – Enciclopedia Libera, “Liberty (navi trasporto)”, 2007
- Renato Mancini – “Le navi tipo Liberty” , Storia Militare n° 26, novembre 1995
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