Barca funeraria

 

Le vie d'acqua del Nilo

 

 

Le civiltà primigenie sono nate pressoché tutte in corrispondenza di vie d’acqua, che nell’antichità hanno costituito le sole vie utilmente percorribili e praticabili. L’Egitto e il fiume Nilo rappresentano l’esempio di maggior spicco e connessione. Senza il Nilo l’Egitto non sarebbe esistito, non sarebbe stato in grado di sviluppare quella straordinaria forma di civiltà che gli è propria, che non ha nessun riscontro nel pur vasto e variato schieramento dell’umanità.

Il Nilo è uno dei corsi d’acqua più lunghi del mondo, ma in realtà è formato da tre fiumi diversi, il Nilo Bianco, il Nilo Azzurro e l’ Altbara, alimentati a loro volta da non pochi fiumi tributari, che convergono in un corso unico a Khartoum allargandosi infine alla foce dopo un notevole percorso in uno sterminato delta. Partendo dagli altipiani interni del cuore dell’Africa, il sistema idrografico è tanto vasto da interessare tre grandi regioni climatiche e cinque regioni vegetative, interessa differenti territori statali (il bacino verrebbe a contenere nel suo complesso dieci volte l’Italia) con un percorso che dal meridione sale al settentrione segnato da rapide, zone stagnanti, sei cateratte, bacini di contenimento, passaggi artificiali (la depressione di El Fayum, raggiungibile per un canale, viene a trovarsi a un livello sensibilmente inferiore al livello del mare). La navigazione non viene fermata grazie a canali laterali, e vi trovano impiego fin dall’antichità imbarcazioni dei più disparati tipi e natura con una cinquantina di punti di stazionamento.

L’ambiente è generalmente molto ricettivo e popolato, segnato dalle attività agricole che si estendono, nastriformi, lungo le rive soggette alle piene fecondatrici dell’acqua ricca di limo e di residui organici che nella stagione delle piogge scendono dagli altipiani etiopici secondo ritmi e modalità di sfruttamento immutati nei millenni fino a tempi a noi vicini.

L’andar per acqua ha rappresentato fin dai primordi una necessità vitale, senza alternative, per cui il mezzo impiegato, la zattera di canna palustre, la canoa, la barca, la nave vera e propria, il trasporto sacro e profano hanno rappresentato il soggetto immancabile nelle figurazioni pubbliche e private che hanno accompagnato il vivere quotidiano, i fatti della vita, gli avvenimenti grandi e piccoli e quanto attiene alle ragioni dello stato e della religione. Ne è uscita ed è stata tramandata così una ricchissima documentazione in bassorilievi, pitturazioni murali e su papiro, vasellame, modellini tombali, manufatti di vario genere che costituiscono una vastissima facies archeologica anche se di non facile interpretazione, stante il fatto che le rappresentazioni sono più che altro convenzionali, specialmente le più antiche. I reperti originali, quanto mai preziosi, sono rarissimi tanto da contarsi sulle dita di una mano, non più di tre piccole barche e la nave funeraria del faraone Cheope.

Egitto preistorico - da battelli dipinti su tessuto

Notabili le facoltà intellettive, organizzative e operative, ma poco adatto il materiale da costruzione reperibile mancando del tutto gli alberi d’alto fusto. Disponibili le piante a lungo gambo del papiro, giunco erbaceo grosso alla base 15 centimetri che può crescere fino a 3 metri, e del loto, del sicomoro, dell’acacia, legno duro che può dare tavole di soli 4 metri, per cui non è rimasto alla fine che ricorrere all’importazione del cedro d’alto fusto del Libano, avvalendosi anche di mano d’opera proveniente da fuori. Non manca infatti una indubbia documentazione della presenza attiva nei cantieri navali di personale qualificato siriano o fenicio tale da portare la marineria egiziana ai livelli richiesti dalle necessità di progresso.

L’antica storia egiziana si divide in diversi periodi, l’ eneolitico, il predinastico, il dinastico (con 17 dinastie), i bassi tempi (il greco, il romano, l’arabo) e non è facile inquadrarvi l’attività nautica e navale. Le tracce più antiche di attività umana si trovano nell’Alto Egitto e nella Nubia e il grande numero di incisioni su roccia di imbarcazioni, classificabili secondo Lucien Basch in 12 tipi diversi, stanno ad indicare quanto sia stato necessario e quanto praticato il muoversi per vie d’acqua.

I primi tipi di imbarcazioni egizie trovano riscontro in taluni modelli africani tutt’ora verificabili, si tratta di elementi di piccola mole legati a doppio filo al loro ambiente. Va considerato il fatto che nel lunghissimo percorso della via per acqua del Nilo si identificano storicamente trance separate le une dalle altre la più impermeabile delle quali è stata quella del grande delta, anticamente non navigabile, che ha tenuto il fiume a lungo separato dal mare Mediterraneo come un tampone. Una zona di per sé interessante di acquitrini, ricetto di gente autoctona che si muoveva usando un galleggiante individuale d’erba palustre intrecciata a paniere. Da qui l’originalità delle costruzioni egizie stante la difficoltà dei contatti marittimi e dello scambio di Barca funeraria di Sesostri IIIesperienze ed acquisizione di conoscenze utili. Difficoltà ad un certo momento superate ma non completamente con la conseguenza di una marineria rimasta indietro rispetto allo sviluppo politico, economico e militare dei faraoni più intraprendenti. Da qui il ricorso all’impiego di personale tecnico siriano o comunque straniero, come nel grande cantiere navale di Perou Nefer.

 

 

Le raffigurazioni del periodo predinastico secondo Bjorn Ländström (1970) mostrano natanti che hanno già superato lo stadio primitivo ma tali tuttavia da ingenerare tra gli egittologi contrasti interpretativi inconciliabili. Molto ricco il materiale fittile, le brocche di Gerzèen , che presentano moltissime figurazioni molto arcuate e con le estremità arrotondate che taluni degli studiosi ritengono non trattarsi di imbarcazioni. I reperti figurativi dell’Alto Impero sono tanto progrediti da rappresentare, secondo Ländström, il risultato di lunghissimi periodi di rifacimenti, adeguamenti, adattamenti evolutivi. Le imbarcazioni comuni non superavano di solito i 6 metri di lunghezza, e quando necessitavano natanti più grandi si ricorreva ad un sistema di cucitura delle tavole similmente a quanto si osserva ancora al giorno d’oggi in certe imbarcazioni africane equatoriali. Singolare il fatto che le barche di papiro venivano presentate nelle figurazioni pittoriche dipinte di verde (papiro fresco) anche quando fresco non poteva essere più.

Intorno al 3000 a.C l’Egitto si presenta diviso in due parti, il Basso Egitto posizionato nel grande Delta, e l’Alto Egitto che va fino alla prima cateratta con controllo sul Delta e capitale a Thinis, da cui il periodo detto tinita. Periodo di grande sviluppo culturale e civile che però, contrariamente a quanto era lecito aspettarsi, ha dato poche e imprecise rappresentazioni riguardanti i mezzi nautici marini.

 

Barca funeraria di Cheope

 

dettaglio costruttivo della barca funeraria di Cheope

 

Il viaggiatore e scrittore greco Erodoto, vissuto nel secolo a.C., ha scritto: “Le loro navi, con le quali essi (gli egizi) trafficano molto bene, sono costruite con legno di acacia, che nel suo aspetto ha molto del loto di Cirene, che dà la gomma, traendo tavole che sono lunghe due braccia. Dispongono queste tavole una sopra l’altra come si fa con i mattoni incastrando l’una con l’altra, poi alzano le traverse. Non usano corbe, calafatano col papiro le giunture nel lato interno, adoperano un solo remo timone sistemato lungo l’asse della carena. Alzano un albero di legno di pruno con vela di “byblos” ( arbusto di papiro)”. Non tutto è chiaro, ma sembra che simili scafi non abbisognavano di corbe, ed infatti la conferma arriva nel 1893 quando a Duscur vengono trovate sei barche tre delle quali conservate discretamente. Sono composte, come dice Erodoto, da tavole le più lunghe delle quali misurano 2 passi (105 centimetri) unite le une alle altre con perni lignei a forma di cuneo, senza corbe e senza chiglia, che sono state a lungo ritenute le più antiche barche del mondo.

Il sicomoro e il cedro del Libano davano quel tipo di legno del quale non si poteva fare a meno nella costruzione delle navi e arriviamo così alla regina Hatchepsout alla quale si deve il noto viaggio di cinque navi alla terra di Punt (Somalia ?) nel Mar Rosso, intorno al 1400 a.C. Fatto molto importante, forse unico tanto da veder le navi immortalate nei bassorilievi del tempio di Deir el Bahari, ma sfortunatamente di difficile lettura a causa del cattivo stato di conservazione delle lastre litiche sicché  pubblicazioni odierne riguardanti l’avvenimento riprendono ancora una incisione ormai molto vecchia. Le navi sono rappresentate a vela abbassata, sotto carico ammassato in coperta alla rinfusa in sacchi e recipienti , legno odoroso (sandalo ?), mirra, resina, piante della mirra, ebano, avorio, incenso, pelli, scimmie (babbuini) lasciando in vista il grosso cavo teso tra la prua e la poppa con la funzione, sembra, di impedire gli insellamenti dello scafo. Navi, queste, che si possono considerare grandi, ma ne sono esistite ancora di più grandi e capaci, come la nave impiegata nel trasporto da Assuan a Tebe di due obelischi di 323 tonnellate ciascuno, uscita forse dall’arsenale statale di Menfi, il più grande, attivo e meglio mantenuto. Si può presumere che non si è trattato di navi marine ma originariamente nilotiche stante la singolare geometria e attrezzatura della vela che si portava al traverso, fissata a 90°, per prendere in fil di ruota il vento che costantemente soffiava dal settentrione, quando la nave doveva risalire il Nilo controcorrente, non essendo possibile altrimenti, cioè non si poteva stringere il vento con lo scafo che si sarebbe sbandato fino a toccare l’acqua con il pennone inferiore della vela. Una caratteristica che compare anche in tipi similari più piccoli, minori, che Ländström individua in una raffigurazione della fine del Nuovo Impero.

 

Modellino funerario di TutankhamenAl tempo del faraone Nechao la navigazione veniva incrementata tra il Mediterraneo e il Mar Rosso grazie allo scavo di un canale che univa il Delta a Suez. Impiegata nei viaggi commerciali e nelle spedizioni militari, la marineria egiziana assurgeva a potenza rispettabile grazie anche all’impiego di navi marine di tipo siriano. È con il faraone Tutmosi  che, al fine di sostenere le intraprese operazioni militari marittime, il Delta veniva reso percorribile dalle navi.

Difficili e controverse, si è detto, le interpretazioni degli egittologi in fatto di documentazione.

Ma un rinvenimento avvenuto nel 1952 ai piedi della piramide del faraone Cheope arrivava fortunatamente a chiarire inequivocabilmente le questioni fondamentali. Intorno alla piramide si trovavano, note da molto tempo e orami vuote, alcune fosse scavate per dare ricetto a barche funerarie. Veniva casualmente trovata un’altra fossa quando durante un lavoro di asportazione di un cumulo di sabbia appariva quella che sembrava una pavimentazione di grandi lastre di pietra bene squadrate. Si trattava in realtà della copertura di una fossa sigillata. L’esplorazione effettuata con una macchina fotografica introdotta attraverso un foro rivelava il contenuto, una grande imbarcazione smontata in numerose parti, remi, grandi tavole, porte, colonne, elementi diversi, il tutto ricoperto da stoffe ormai degradate e resti di tappeti. Il legno però si presentava conservato bene grazie al fatto che l’ambiente era rimasto isolato perfettamente per 4600 anni. Il lavoro di ricupero del reperto quanto mai interessante veniva affidato al capo conservatore delle antichità Ahmad Moustafa che, come annota testualmente Ländström, ha effettuato un lavoro incredibilmente buono ed accurato mantenendo tutto sul posto, compreso l’edificio museale destinato all’affascinante reperto.

La fossa è lunga 31,2 m., larga 2,6 m e profonda 3,5 m., e conteneva l’imbarcazione che giaceva smontata in 407 elementi disposti su 30 strati. Rimessi insieme, si potè constatare che gli elementi componenti tutta la struttura erano 1224, i più grandi dei quali in cedro del Libano, i più piccoli, quali cavicchi e perni, di gelso. L’ imbarcazione è lunga 43,4 m. , larga 5,9 m. ed ha un dislocamento di circa 40 tonnellate. Il tavolame dello scafo, spesso 13, 14 cm., viene assemblato in parte con legamenti passanti attraverso lo spessore dalla parte interna e in parte con elementi che, perfezionati, troveremo nella tecnica del tenone e della mortasa delle navi greche e romane e non solo. La carena è piatta e senza chiglia, fatto, questo, comune anche nelle costruzioni più antiche non solo egiziane, con 12 elementi interni classificabili come corbe ma non portanti. Si alza a poppavia una tuga lunga 9,5 m. larga anteriormente 4,15 m. e posteriormente 2,7 m. con travicelli accessori forse per una tenda. 6 paia di remi di lunghezza variabile da 6,8 m a 7,8 m servivano come derive e timoni per tenere in rotta l’imbarcazione che veniva tratta al rimorchio di barche da traino. Si ritiene che abbia servito una sola volta per il trasporto funebre di Cheope.

È stata trovata una seconda fossa, sigillata, che potrà dare una seconda imbarcazione.

Navi della regina di Hatshepsut - bassorilievo egiziano del sec. XV a.C.

Seguono il periodo tolemaico, il bizantino, l’arabo, il mamelucco, le influenze ottocentesche francesi e inglesi comportanti un intrico di conseguenze, lotte, periodi di perdite e di ricupero dell’indipendenza, commistioni e mutamenti linguistici, culturali, religiosi ma anche di tolleranza. Tutto ciò non sul fiume Nilo, cioè sulle vie d’acqua se non molto lentamente dove le barche continuavano a mantenere a lungo le loro caratteristiche costruttive e d’impiego giungendo infine alle feluche che ancor oggi alzano in gran parte la vela triangolare latina  mentre un manoscritto datato 1521, conservato ad Istanbul, mostra ancora un’imbarcazione munita di vela quadra. Non sul mare, non per quanto concerne le navi marine che hanno continuato ancora a lungo a far vita a sé stante, al di qua del Delta.

 

Imbarcazione di secondo ordine del Nuovo Impero ricostruita da Ländström

 

 

 

 

 

 

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FONTI

*                  Lucien Basch — “ Le musée imaginaire de la marine antiqueInstitut Hellénique pour la Préservation de la Tradition Nautique, Atene 1987

*                  Shaker Sabit — “Discovery king Cheop’s funerary boat” Surveyor, American Bureau of Shipping, Nuova York novembre 1978

*                  Bjorn Ländström — Die Schiffe der Pharaonen - Altägyptische Schiffbaukunst von 4000 bis 600 v.Chr”, C. Bertelmann Verlag 1970

*                  Michele Vocino — “La nave nel tempo” ( IIa ed.) – Luigi Alfieri, Milano 1942

*                  AA VV a cura di George Bass — “Navi e Civiltà – Archeologia Marina “, Gruppo Editoriale Fabbri, Milano 1974

 

 

 

 

Dalle rocce dell’Alto Egitto e della Nubia