Fin dai tempi più antichi si è cercato di
eliminare in qualche modo l’isolamento nel quale veniva a
trovarsi la nave che, lasciato l’ormeggio, navigava in mare
aperto con tutti i problemi che ne derivavano e, non di raro, per non
previste e impellenti necessità di farsi riconoscere o
comunicare alcunché d’urgente. Si ricorreva ad
intese prestabilite volta per volta tra chi partiva e chi rimaneva a
terra, come si trova citato nella antica letteratura greca omerica ,
metodo via via perfezionato fino ad entrare nell’uso corrente
allargandosi e frazionandosi fino ad assumere più
significati anche devianti, legati allo scafo direttamente o tramite
sculture lignee applicate come indicazione del gruppo etnico di
appartenenza o di proprietà personale.
Fatto che ha
incontrato dappertutto grandissimo favore tanto da avere creato in
etnografia un ben nutrito ramo specifico. Ne risulta
un’infinita varietà di figurazioni divenute
tradizionali zona per zona e rese con l’impiego di
più materiali oppure utilizzando direttamente lo scafo del
natante con bassorilievi o pitturazioni. La prua è la parte
operata in prevalenza, spesso munita di occhi apotropaici tali da
vedere i pericoli incombenti con figurazioni naturalistiche oppure
astratte, spesso illeggibili, tali da rendere possibile la valutazione
del grado di cultura e di disponibilità economiche del
gruppo sociale di appartenenza aprendo un ventaglio molto ampio.
Non sembra
malgrado tutto che gli etnografi attuali se ne siano occupati quanto
meritato non superando il livello della marginalità, ma
è vero anche che tutta la parte etnografica marinara risente
delle difficoltà derivanti forse dal fatto che è
alquanto difficile scendere alle fonti ormai completamente sparite di
costruzioni lignee richiedenti conoscenze acquisite da chi abitava a
contatto del mare. (Vedi anche qui)
Una riprova di
ciò si ha considerando quanti sono i musei, grandi o
piccoli, esistenti in fatto di civiltà contadina rispetto ai
musei marittimi.
Non altrettanto
vale per il pescatore, che è sempre vissuto in
comunità isolate. Questo riguarda almeno l’Alto
Adriatico dove chi scrive si è fatta un po’ di
questa esperienza, grazie a quella straordinaria presenza di Chioggia
che è stata il maggiore centro etnografico marinaro non solo
d’Italia ma di tutta l’ Europa alzando sui suoi
bragozzi, fatto unico, un grande numero di vele dipinte formanti una
singolarissima specie di araldica (vedi qui).
Si riporta di
seguito, ma solo a titolo di esempio, una serie di figurazioni
dimostrative di quanto trattasi, senza scendere in analisi o commenti,
non possibili sul momento, nell’ordine dei grandi gruppi
reperibili in ogni continente inclusa l’Europa. Uno
schieramento singolare con esempi che sfatano la comune credenza che
l’etnografia riguardi soltanto le popolazioni non uscite
dalla primitività.
La pagaia merita
un cenno particolare per il fatto di essere un oggetto nautico nato
nella preistoria che trova tutt’ora impiego nella propulsione
di imbarcazioni leggere da diporto o da regata.
Dote dovuta alla
semplicità di impiego ed alla capacità senza
alcun costo di trasformare la forza muscolare umana in forza
propulsiva.
Unico
inconveniente è il fatto che queste due forze sono esigue,
ma ciò non guasta essendo gli impieghi commisurati a quanto
occorre per determinati fini.
In etnografia la
pagaia può rivestire la funzione di biglietto da visita,
come tale viene decorata e presentata. Riveste a volte, presso le
tribù bellicose, il duplice impiego del propulsore e la
possibilità di essere usata dai pagaiatori come temibile
bastone nei casi di arrembaggio tra imbarcazioni rivali approntate nei
momenti non rari di lotte tra rivali.
A.C.
ultima modifica 03/05/2019