LE GALERE
A FORZA DI REMI E DI STAFFILE
Quello
delle galere, o galee, è un settore che non si può lasciar passare inosservato
in una panoramica per quanto ristretta possa essere riguardante lo sterminato anfiteatro
della marineria, tanto che la sua origine si può far risalire alla fonte stessa
della storia dell’umanità.
Certo
è che il navigante è stato travagliato fin dai primordi dalla necessità di
trovare il modo di far andare la nave sul mare aperto sia col vento contrario,
sia nelle calme quando il vento veniva capricciosamente a mancare, sia contro
le correnti marine e fluviali. Cioè sempre.
Il
problema è nato appena lasciate le acque basse costiere dove è possibile
usufruire di spinte e di traini, e non sappiamo dopo quante esperienze deludenti
si è arrivati all’impiego della pagaia e del remo in unione con la vela aprendo
finalmente la via alla navigazione.
Non
andremo in giro alla ricerca del chi, del dove, del quando
ciò sia avvenuto perché, come ben si sa, una ricerca del genere non è possibile,
ma fortunatamente esiste il Mediterraneo, la culla della civiltà, che fornisce
più di una risposta grazie a quel crogiolo che è stato il Mare Egeo e il mondo
greco-romano.
La
nave nasce neutra, non è per così dire né maschio né femmina, ma ben presto
emerge nel suo impiego uno dei lati più interessanti quale elemento di potere, di mezzo i pressione, di signoria sul mare. La
nave si specializza presto per servire a tali fini e non mancano i ricercatori
che indicano le origini della galera in quelle imbarcazioni a
remi snelle e veloci, con la prua armata di rostro, riprodotte in grande
numero di esempi dalla pittura vascolare egea dei
primordi.
Affrontando
in linguistica i termini paralleli “galera” o “galea”, è interessante quanto
dice Mario Cortelazzo autore dello studio “L’influsso
linguistico greco a Venezia”, edito nel 1971. Il primo termine compare
documentato per la prima volta nel il 1097 proprio a
Venezia e presto anche a Genova, diffondendosi all’epoca delle crociate. Il secondo
prende piede nei contatti e nelle relazioni correnti nell’Italia Meridionale
con i Bizantini. C’è chi ritiene che il nome derivi dal pesce spada (“galeotes”) suggerito dalla forma affusolata presentata dal
naviglio con la prua munita di un lungo puntale simile alla spada del pesce, utile
nell’arrembaggio e mantenuto per tradizione anche quando non ce n’era più
bisogno dopo l’imbarco dell’artiglieria sull’asse mediano della prua.
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La galera stazionante di
guardia, con tendone, davanti al Palazzo Ducale di Venezia |
La
galera rappresenta un tipo di naviglio inconfondibile e ben definito, rimane in
servizio più di ogni altro tipo per parecchi secoli, superata in termini di
durata temporale forse dalla sola giunca cinese. Il campo prevalente di azione
è il bacino chiuso del Mediterraneo, ma con presenze attive anche nella Manica
e nel Baltico. È curioso il fatto, documentato dalle fotografie, che l’ultimo
zar della Russia, Nicola II° Romanov,
tiene ancora a 1900 inoltrato una galera con la quale ama
uscire in mare per diporto a suon di musica.
La
storia della Repubblica Veneta sarebbe inconcepibile senza la presenza della
galera, che sforna in grande numero di esemplari dal celebre Arsenale di
Venezia, il primo d’Europa, ma nonostante ciò non esistono inizialmente molte
fonti per la sua conoscenza stante la riservatezza assoluta mantenuta in
materia di costruzioni navali quando, per di più, i
cantieri non dispongono di disegni tecnici andando, si può dire, a colpo
d’occhio e ad esperienze gelosamente riservate. Non mancano documenti
indicativi storici quali il manoscritto del proto Thedoro
de Nicolò, di non facile interpretazione, ma la situazione viene a migliorare
successivamente grazie al diffondersi della vedutistica
curata da artisti insigni, da prolifici incisori veneti e francesi del 1600 e
1700, pur attenti ma non tecnici.
Lo
storico Cesare Augusto Levi ha pubblicato nel 1892 il volume “Navi venete da
codici marmi e dipinti” illustrato con numerosi disegni tracciati dall’incisore
Culluris tra i quali compaiono 16 galere che
costituiscono una documentazione unica ma non molto precisa perché quasi tutti gli
artisti dimostrano di non aver avuto molta cognizione d’arte nautica. Disegni
tuttavia non privi di interesse in quanto rispondono alla classificazione del
soggetto nella sua evoluzione, quale la galera sottile o sensile,
la galera lunga, la mezzana, la trireme, la grossa, la riformata , la bastarda, la galeazza che segna il limite massimo di
sviluppo raggiungibile da un naviglio a remi. Il Dizionario di Marina del 1937 segna
numerosi termini derivanti non solo dal tipo costruttivo ma anche dall’impiego
nautico e perfino dalla località di destinazione.
La
galera si è evoluta assai lentamente ed ha mantenuto infine per lunghi periodi
di tempo le stesse caratteristiche: lunga da
La
vita non è facile sulla galera, con gli spazi di bordo rigorosamente misurati.
Sacrificato al massimo il “palamento”, cioè gli addetti al remeggio che si dice
“a sensile”
quando ogni rematore ha il suo banco, a “scaloccio”con più rematori per
remo, o “a terzarolo” quando il banco serve a tre rematori da cui il nome
improprio di “trireme”. Si trovava imbarca una massa d’uomini assai numerosa ed
eterogenea tenuta in riga da una disciplina feroce. Costituisce un grosso
problema trovarne quanti ne occorrono per la voga, la componente fondamentale, tanto
da rendere necessario il ricorso ai prigionieri o ai condannati per reati
comuni (gli “sforzati” o “galeoti”) provenienti anche
da condannati trasferiti da prigioni estere in base ad accordi diplomatici con altre
amministrazioni statali. In caso di guerra le città della Repubblica Veneta,
Venezia compresa, sono obbligate a fornire gli uomini richiesti per completare l’imbarco,
detti “zontaroli ”, secondo tabelle disposte fin dal
tempo di pace.
Sotto coperta lo spazio, sempre ristretto, si
presenta compartimentato a partire dalla poppa con
l’alloggio del “sopracomito” e dei “comiti”, con il deposito delle armi (“scandolaro”),
col deposito dei viveri (“cambusa”), col deposito della polvere da sparo e della
munizione del biscotto (protetto dall’umidità). Segue la camera di mezzo per le
vele, il sartiame ed altre occorrenze e la camera di prua, diremmo il “gavone”, quale deposito generico.
Arriva
al remo gente della condizione più disparata, sventurati volontari detti “buone
voglie”, i prigionieri catturati quali corsari, schiavi, ottomani, cristiani
dissidenti, fuori legge d’ogni specie, disertori, contrabbandieri, debitori
insolventi. Ognuno viene contrassegnato col taglio dei
capelli fino a testa rasata o con un ciuffo di capelli, o solo baffi, o solo
barba, o barba e baffi, tutti tenuti incatenati e soggetti ad attentissima
sorveglianza da “aguzzini” pronti ad usare lo staffile. Il maggiore impegno è,
inutile dirlo, l’esercizio della voga che viene
regolata normalmente per quartiere, cioè a turni, ma in caso di emergenza non
esiste scampo per nessuno e la fatica può durare molto a lungo tanto da dover
mandare i mozzi ad imboccare i vogatori più deboli con pane intinto nel vino.
Viva
luce sullo stato e sulla vita dei galeotti viene da un libro di memorie
pubblicato dal francese Albert Savine,
un ugonotto condannato al remo, grazie al quale si vengono a conoscere particolari
che altrimenti sarebbero rimasti sconosciuti o dimenticati. Quando non sono
impegnati ai remi, i vogatori sono impiegati in lavori utili come la confezione
di calze o indumenti di cotone commessi dai mercanti dei porti e raccolti da
intermediari di fiducia. E poi non manca la periodica fatica della “burrasca”,
cioè dello smontaggio dei banchi da voga (banco, banchina, pedana, contropedana e tavola del fondo) per una pulitura rigorosa
necessaria per impedire epidemie tra tanta gente a stretto contatto in
condizioni igieniche pressoché nulle. Singolare quanto può accadere in
occasione di visite di personaggi eminenti con le loro dame. Viene
messo di scena tutto il palamento in esercizi di massa, spesso ridicoli e
perfino sconvenienti eseguiti all’unisono, quali scomparire dietro i banchi di
voga, far vedere la sola testa, alzare un braccio o una gamba, alzarsi in piedi
sui banchi stessi, genuflettersi, mettersi e levarsi a tempo un berretto,
mostrare la lingua o un dito. E così via. Durante la stazione invernale viene alzato un grande tendone che copre i banchi da prua a
poppa, e può capitare che qualche piccolo gruppo venga impiegato in lavori di
manutenzione da eseguire a terra. Uno dei castighi consta nel dover strofinare
con la sabbia una palla di cannone arrugginita in maniera tale da farla
sembrare d’argento, pena una dose di legnate.
Impegno
non secondario anche se ridotto all’osso è la cucina (“focone”) e quanto viene passato all’equipaggio e al palamento per la loro
sussistenza. Luciano Santoro fornisce un esempio da valere per un galeotto del
1600: in sosta portuale
La razione dei marinai e dei soldati comprende
I
centri marittimi mediterranei dispongono tutti di galere, rispondenti ad un
tipo pressoché uniforme in fatto di costruzione e di impiego, ma seguono
criteri diversi per quanto riguarda il mantenimento e l’amministrazione di un
apparato assai costoso per cui non di rado la galera viene
lasciata ai privati. È il caso di Genova, dove il Magistrato delle Galere viene istituito solo a partire dal 1559. Nella Repubblica
Veneta le navi entrano invece nel novero del demanio statale a cominciare dai
boschi erariali che forniscono in grande quantità il legname alla Casa
dell’Arsenale.
È
interessante il caso della potente famiglia genovese dei Doria,
proprietari di una squadra di galere. Nel 1529, Andrea Doria
sottoscrive con l’imperatore Carlo V di Spagna un contratto (“asiento”) col quale si impegna di mettere armi e bagagli al
servizio imperiale dietro adeguato compenso con il titolo di Capitano Generale dell’Armata
Marittima Imperiale del Mediterraneo. Un rapporto mercenario, comune al tempo
delle signorie di terraferma ma non comune sul mare e si comprende bene il
perché. È facile immaginare quali grosse somme di denaro devono circolare con
questi contratti tenuto conto che il mercenario, alleggerendo con ciò l’impegno
amministrativo statale, deve provvedere a tutto e per tutto,
scafi, manutenzione, armamento, mantenimento e soldo dei marinai e dei
soldati, palamento, e vitto per tutti. Si ha notizia di contratti del genere
sottoscritti anche da altre famiglie genovesi.
La
marina militare della Repubblica Veneta è invece rigorosamente riservata alle
casate veneziane in tutte le funzioni di impiego e di comando. È divisa in due
branche, le navi sottili e le navi grosse. La più importante e numerosa é quella
delle galere posta al comando del Capitano del Golfo, cioè dell’Adriatico, con
sede a Corfù dove sostava la galera generalizia con
una nutrita squadra. L’altra branca allinea le navi di nuova concezione,
specialmente settecentesca, che
È
la galera ad essere elevata a simbolo navale veneziano fin dal 1400 quando
La
galera continua ad avere una sua storia, anche dopo la battaglia di Lepanto del
1571 che segna il culmine di un impiego mai più uguagliato in seguito in tema
di battaglie sul mare. Scontro immane ma non risolutivo a causa di conseguenti implicazioni
diplomatiche, religiose, di alleanze, di risultati o meglio di mancanza di
risultati solutivi a causa di diffidenze e invidie reciproche. L’armata
cristiana è infatti eterogenea trovandosi formata da unità
veneziane, genovesi, spagnole, maltesi, pontificie, savoiarde, e uomini dei
ducati di Parma e Urbino per un totale di oltre 250 unità comprese le
ausiliarie, con oltre 40.000 combattenti. Gli ottomani presentano un fronte guarnito
da oltre 260 unità con un numero di combattenti superiore, sia pur di poco, a
quello dei cristiani, ma dispongono di un minor numero di armi da fuoco. Furiosi
i combattimenti a distanza ravvicinata e corpo a corpo, con il seguito di un
grande numero di morti, con oltre 70 affondamenti complessivi, la maggioranza
ottomana. Hanno il battesimo del fuoco le galeazze veneziane, presenti in
numero di sei unità e disposte in prima fila col compito di appoggiare le
galere col maggior numero di cannoni imbarcati grazie ad un notabile aumento di
dislocamento. Vengono catturate oltre 100 galere
ottomane e, quello che rappresenta un successo a latere
di grande valore, si liberano circa 12.000 prigionieri trovati incatenati ai
remi. Cifre indicative in linea di massima in quanto le varie fonti
d’informazione non sono concordi .
Rimane
della straordinaria battaglia una memoria incancellabile con monumenti ricordo sparsi
in varie località e con i grandi “teleri” dipinti da
celebri artisti, G.B. D’Angelo detto il Moro, Domenico
Tintoretto, Pietro Liberi, Andrea Vicentino, Paolo
Veronese, le incisioni di Johann Stradanus,
Adrien Collaert, Jacopo Callot e molte stampe popolari. L’immane conflitto non
risolve le situazioni di contrasto tra le due potenze mediterranee,
L’epoca
napoleonica e la lotta sul mare tra Francia e Inghilterra porta a fatti d’armi
caratterizzati non solo dall’impiego delle grandi navi armate con gran numero
di cannoni per unità ma anche da una continua guerriglia di naviglio corsaro impiegato
dall’una e dell’altra parte. Acquista grande notorietà in Liguria il capitano
mercantile Giuseppe Bavastro, uomo di mare
impegnato in spericolate imprese ai danni degli inglesi nella guerra di corsa
con regolare patente rilasciatagli dalla Francia, con
l’onorifico riconoscimento della Legione d’Onore. Ogni occasione è per lui
buona e si avvale anche di una galera, una delle poche che rimangono ancora in
piena attività tanto che a guerre napoleoniche terminate, il Regno di Sardegna non
esita nel
Se
ne trovano anche nel golfo di Finlandia fino al 1856 che segna l’ultima loro
azione a fuoco chiudendo definitivamente una presenza sul mare
straordinariamente lunga.
All’estero
spunta l’astro di Pietro il Grande che prende a modello Venezia e nel 1713-14 acquista
il dominio del Golfo di Finlandia grazie ad una forza navale la cui principale
componente è formata da 93 galere, dimostrazione che non sono ancora unità
navali superate, declassate dalle nuove grandi navi d’alto bordo a vela, tanto
che al tempo della sua morte, nel 1725, se ne contano nel Baltico a centinaia.
Si spiega così anche perché l’ultimo zar, Nicola II Romanov,
detronizzato nel 1917, teneva al suo servizio una
galera.
Cosa
rimane al giorno d’oggi oltre la memoria? Ben poco.
Nel 1971, IV° centenario della battaglia di
Lepanto, è stata ricostruita in Spagna la fedele copia della grande Galera Reale
di don Giovanni d’Austria, comandante supremo della lega cristiana di Lepanto, conservata
a secco nel Museo Navale di Barcellona. Lunga
Un’altra
bella galera è stata ricostruita in grandezza naturale e tenuta galleggiante
nell’allestimento della Mostra d’Oltremare che avrebbe dovuto aver luogo a
Napoli nel 1940, che lo scoppio della guerra ha fermato poco prima
dell’inaugurazione lasciando inutilizzato un patrimonio degno di nota. Nulla è
rimasto delle bella galera, che con tutta probabilità
è stata demolita per ricuperare il legname.
Va
citato, infine, che nel 1962, un gruppo di nuotatori subacquei ha individuato
ad una ventina di metri su di un fondale del lago di Garda davanti a Lazise il relitto di una delle galere veneziane, o forse di
una fusta, affondata nel 1509, lunga una trentina di metri e larga tre metri e
mezzo, tutt’ora in corso di studio. Relitto unico e
di estremo interesse nel campo archeologico dell’architettura navale antica.
In
fatto di modellismo praticato da un numero non scarso di esecutori, esistono
dei modelli in scala ridotta ma non proprio molti ,
nonostante il fatto che la galera si presti moltissimo in linea estetica alla
riproduzione modellistica, ma che richiede molto impegno lavorativo per
riprodurre un grande numero di minuti particolari.
FONTI
§
Manlio Cortellazzo “L’influsso linguistico greco a Venezia” – Riccardo
Patron, Bologna 1971
§
Vilma
Borghesi “Le galere del principe Giovanni Andrea Doria (1540 – 1606 )” in “Navi di Legno”, Grado 1998
§
Cesare Augusto Levi “Navi venete da codici marmi e dipinti” – Filippi Editore, Venezia 1892
§
Luciano e Barbara Santoro “Le galere” – Orizzonte Mare , Ed.
Bizzarri, Roma 1973
§
Paolo Macchione “Una nave da guerra a remi del
§
Alessandro Turrini “La caduta di Venezia. Due
momenti di riflessione sul declino della Serenissima” –All.
Rivista Marittima, Roma 2006-12-28
§
Aldo Cherini “La vita sulle galere
medioevali” – Adriatico XXII nro 7, luglio-ottobre
1970
§
R.Accademia d’Italia “Dizionario di marina” –
Roma 1937
ILLUSTRAZIONI
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La pittura vascolare
dell’Egeo si presenta fin dai tempi più antichi ricca di immagini costituenti
la prima documentazione tematica protostorica
riconducibile all’origine del tema galea, in cui compaiono in nuce gli elementi essenziali quali la prua armata e la
carena ben profilata. |
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Scomponendo gli elementi propri di
ogni epoca, è possibile riconoscere il nucleo centrico,immutabile,
dello scafo, come in questo esempio tratto da una pittura vascolare della
necropoli dell’isola tirrenica d’Ischia |
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Buona fonte di conoscenza
è rappresentato anche dal conio delle monete, come in questa serie tratta da
un gabinetto numismatico di Berlino |
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La pittura murale e le
tavoli musive
delle epoche più avanzate forniscono rappresentazioni più probanti e dettagliate,
quali il mosaico della Casa Barberini di Palestrina e gli affreschi della Casa dei Vettii a Pompei. Notevole l’architettura dei navigli e l’indicazione
del loro impiego |
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Notevole il mosaico della
Casa di Sus (?) in Tunisia, che rappresenta un
ulteriore passo avanti in fatto di velocità e autonomia assicurate dai remi e
dalle vele |
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Le galere “mercatorie” non esibiscono quell’aspetto
aggressivo delle sorelle “da fatti”, non poteva essere altrimenti come si
vede nei due esempi tratti da bassorilievi della Basilica di S.Antonio di Padova. Giungono presto al punto da non prestarsi
più ad impieghi proficui |
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Galera minore dal
monumento funebre Foscarini nella chiesa dei
Carmini di Venezia |
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La galera classica |
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Sezione longitudinale con
veduta della compartimentazione interna della galera classica (dallo Jal ) |
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Veduta particolareggia della
rembata di prua e del palamento della fiancata
sinistra della galera costruita in grandezza naturale, nel 1940, per |
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Buon modello a linea
d’acqua di galera bastarda veneziana (maggiorata, capitana o generalizia) |
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Galeazza veneziana, da
modello del Museo Storico Navale di Venezia. Naviglio inteso ad appoggiare
l’azione delle galere con un maggior volume di fuoco grazie all’imbarco di
più cannoni reso possibile da uno scafo maggiorato |
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Mezzagalera del Regno di Sardegna,
1815, con palamento a metà di galeotti e metà di vogatori volontari (da cui
deriva il nome) |
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Battelleria minore, portuale o
costiera: - fusta (galera minore) a 28 remi e vela, - galeotta a 28 remi, -fregata
a 18 remi. Da modellini del Museo Storico Navale di Venezia. La fregata porta
il nome di una imbarcazione di piccolo taglio, nome
ripreso attualmente in un grande numero di unità che si distinguono per
maggiore versatilità operativa, che non hanno nulla a che fare con il nome
originale. |