Il
rimorchiatore è il natante la cui origine si perde, in fatto di
impiego, nella notte dei tempi attraverso tutta la progressione dei
mutamenti tecnologici che hanno riguardato e riguardano incessantemente
le navi dalle più antiche alle moderne. Pur cambiando
l’architettura esterna e interna, la propulsione (remi, macchina
a vapore, ruote, elica, motori), cambiando le attrezzature e quanto
altro occorre, la funzione del rimorchiatore è stata ed è
rimasta principalmente sempre quella.
L’etimologia stessa del termine è indicativa e deriva dal termine latino
“remulcum” a sua volta dal greco
“ruma” e dal verbo
“elko”, cioè grosso modo “tirare con la fune” (Tito Vespasiani).
Nei primi tempi il traino non poteva essere eseguito che da barche a
remi, armate magari dai marinai dell’equipaggio, come si deduce
più esplicitamente da un testo di Paolo Diacono, “
remulco est quam scafae remis navis magna traitur”
cioè si ha il rimorchio quando la nave maggiore viene trainata
dalle barche a remi, così come può vedersi in talune
ricostruzioni cinematografiche e come avvenuto fino alla comparsa della
macchina a vapore col prototipo “Charlotte Dundas” (1802)
,
mosso da una ruota sistemata a poppa, in servizio su di un canale
inglese, che può considerarsi il prototipo del rimorchiatore,
che impiegava una macchina Symmington ad un solo cilindro che
sviluppava non più di 10 cavalli nominali, primo passo
contrassegnato da un crescendo di potenze che toccheranno e supereranno
i 2000 cavalli.
È col 1800 inoltrato che il rimorchiatore diviene affidabile, si
organizza e diventa indispensabile nei servizi portuali e anche di mare
aperto. Vedasi a titolo di esempio il
quadro raffigurante il traino del primo grande transatlantico “
Great Eastern”
(1858) eseguito da cinque rimorchiatori a ruote che lo portano dal
cantiere londinese di costruzione alla foce del Tamigi. Saltando ai
giorni nostri, ecco l’uscita da Taranto della nave da battaglia
“Vittorio Veneto” al traino di quattro rimorchiatori,
autentica e irripetibile testimonianza in movimento dal vero, inserita
in una pellicola cinematografica (“
La Nave Bianca”, di Roberto Rossellini, 1942) ricca di spezzoni documentari.
I traffici dei porti e degli altri luoghi di approdo, divenuti col
tempo sempre più serrati, richiedono ormai disparati servizi ai
quali provvedono compagnie settoriali bene organizzate che si prestano
con mezzi adeguati a volte altamente specializzati con rimorchiatori
che ormai non hanno più nulla a che vedere con i mezzi di un
passato non molto lontano. Prodotti tecnologici potenti, frutto di una
architettura navale che presenta soluzioni avveniristiche con il
sostegno ormai insostituibile dell’elettronica. È capitato
in qualche caso che sul ponte di comando non si sia veduto nessuno in
quanto il comandante agiva con il telecomando posizionandosi dove
meglio vedeva e occorreva.
Una prima suddivisione riguarda i mezzi tecnici costieri, quelli
portuali, e quelli d’alto mare, i mezzi che eseguono il traino e
quelli che agiscono a spinta con la prua radicalmente adattata, propri
questi delle vie d’acqua specialmente del Nord America, senza
contare la divisione tra militari e civili. Con prestazioni, discipline
e comportamenti diversi sulla base, i civili, di una concessione che
viene fatta dal capo del compartimento marittimo di pertinenza.
Caso a parte riguarda i rimorchi d’alto mare, abilitati alle
traversate atlantiche, che rispondono a particolari norme e regole di
carattere internazionale. Notabile il caso del rimorchio dalle Isole
Falkland all’Inghilterra dello scafo storico del “
Great Western”, il primo transatlantico in ferro e ad elica (1857), ricuperato fortunosamente per venire restaurato.
Una materia polimorfa che si riflette anche nella definizione
terminologica che però non è univoca, fermo restando il
concetto di traino o spinta. Numerosi i regolamenti locali emanati
dalle autorità marittime in situazioni particolari riguardanti
la tipologia delle navi , determinati carichi (basti citare il
petrolio), e persino le situazioni meteorologiche. Potenti i mezzi
antincendio (e allora i rimorchiatori, infiorando lo specchio
d’acqua portuale, si prestano quando è il caso a
spettacolari getti d’acqua di saluto e di benvenuto). Contemplato
anche il così detto “tiro regolato” per prevenire
emergenze particolari derivanti dalla possibile deviazione non voluta o
accidentale della nave dalla rotta prestabilita e ciò
specialmente in zone ristrette o molto trafficate.
Detto in brevi termini, spetta al concessionario:
- il rispetto delle esigenze di sicurezza,
- l’obbligo di assicurare il servizio 24 ore su 24,
- l’utilizzo di personale adeguatamente formato e in numero idoneo,
- fornitura del servizio a chiunque lo chieda,
- applicazione delle tariffe predeterminate dall’autorità marittima.
Questa delle tariffe e della determinazione dei costi è materia
commisurata alle varie condizioni locali, di importanza fondamentale e
impegnativa, che non si presta a definizioni generalizzate. Meno che
meno nei casi di danni per urto o altro discapito tra nave rimorchiata
e rimorchiatore per cui si è formata fin dove possibile una
casistica sulle responsabilità dell’una o dell’altra
parte tenute o meno all’indennizzo in tutto oppure, nel caso di
corresponsabilità, in parte.
Tutto ciò rispondente a quanto emerso, contemplato e venuto a
consolidarsi nel tempo sulla base delle esperienze fatte, sia pure con
pareri non univoci in quanto la materia si presenta molto complessa.
In ogni porto italiano viene ad operare una sola impresa
concessionaria, cosa che il codice della navigazione non prevede o
regolamenta, ma per disposizione delle competenti autorità
locali intese
ad evitare inutili concorrenze in un servizio che, salvo casi del tutto
particolari, non ammette discapiti funzionali per fini competitivi.
Un mezzo marino poco conosciuto, poco fotografato, considerato quasi
come una macchina ausiliaria di scarso interesse, che non attira
l’attenzione la quale per lo più va tutta alla grande nave
rimorchiata che pur ha bisogno della sua assistenza, che non cerca
primati ma entrato a gonfie vele in una funzione più che
millenaria che è un primato di per sé stessa.
TRIPCOVICH
La
flotta della Società Anonima Tripcovich di Trieste comprendeva,
accanto all’armamento di navi in servizi di linea per passeggeri
e da carico, una branca, quella di rimorchio e salvataggio, che
costituiva la parte più interessante e attiva divenendo una
delle più importanti e longeve società a battere la
bandiera mercantile austro-ungarica prima e successivamente italiana,
tale da meritare un cenno.
Uscito da una vecchia famiglia marinara di Dobrota nelle Bocche di
Cattaro, il giovane Diodato Tripcovich si trasferiva a Trieste attratto
dalle prospettive che la piazza mercantile stava offrendo anche nel
campo marittimo in continua espansione e rinnovo tecnologico. Dopo un
periodo passato alle dipendenze del Lloyd Austriaco, creava nel 1895 la
Ditta D.Tripcovich- Società di Armamento e Agenzia Marittima
alla testa di numerosi caratisti facendosi conoscere per
capacità e attività ed entrando qualche anno dopo anche
nel campo dei rimorchi e salvataggi. Superato questo periodo tipico
dell’epoca, costituiva nel 1912 la D.Tripcovich & Ci -
Società di Navigazione, Rimorchi e Salvataggi per interventi che
prima erano operati dai rimorchiatori militari e dalle navi che
venivano a trovarsi sul posto dei sinistri. Acquistava il
“Belrorie”,
di costruzione inglese, 214 tonnellate di stazza lorda e macchina di
500 cavalli indicati, che apriva la serie dei mezzi tipici della
Società la cui attività non conosceva soste espandendosi
e trasformandosi nel 1980 in una holding di partecipazioni. Nel 1982
veniva scorporato il ramo dei rimorchi e salvataggi costituendo per le
attività portuali le due società
“So.Ri.SATrieste” e “So.Ri.SA Monfalcone”,
nonché la società “Armamento D.Tripcovich
S.p.A” per i rimorchi d’altura e i salvataggi. Con il
subentrato controllo della società Panfido di Venezia, presenta
in seno alla marina mercantile italiana la lista più lunga con
27 rimorchiatori, in un’attività che ha visto
periodi prosperità ma anche di crisi politiche, militari ed
economiche di rilievo, superati tuttavia grazie ad una tenacia che non
è venuta mai meno. Di nomi sarebbero da farne tanti, da
ricordare l’armamento maggiore, il rimorchiatore d’altura
“
A.H. (Anchor Handling) Barone Banfield”
particolarmente adatto, con i suoi 995 tonnellate di stazza e 8000
cavalli vapore, all’appoggio delle piattaforme petrolifere e
geodetiche, nonché i periodi delle due grandi guerre 1914-18 e
1939-45 quando anche i rimorchiatori e le navi di salvataggio della
società passarono sotto l’impiego militare subendo pesanti
perdite essendosene salvati nell’ultima guerra solo tre su nove.
Il barone Banfield è stato l’uomo di spicco nel campo dei
salvataggi, una cinquantina di casi, e figura rappresentativa in
un’attività richiedente doti di intuito e coraggio
operativo non comuni.
Singolare il caso che durante il periodo 1945-54, al tempo cioè
del Governo Militare Alleato, troviamo impiegati a Trieste due
rimorchiatori militari inglesi e quattro dell’U.GE.NA, Ufficio
Gestione Navi organo italiano per l’impiego navale civile in
periodo di emergenza.
Nel 1982 la Tripcovich si trasformava in gruppo finanziario e la flotta
dei rimorchiatori, scorporata ma inizialmente sotto controllo, cambiava
nominalmente proprietario. Nove di essi sono passati alla SO.RI.SA di
Trieste e due alla SO.RI.SA di Monfalcone, che in memoria di un degno
passato conservano sulla ciminiera la storica sigla S e A separate da
un’ancora.
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il "Cyclops" della Tripcovich - Trieste 1905 |
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il "Titan" della Tripcovich -1909 |
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il "Mizar" della Tripcovich - Trieste 1987 |
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ultima generazione - Rimorchiatori Riuniti Genova - 2007 |