Non bisogna credere che
Napoleone non sia stato capace di rendersi conto di cosa perdeva quando
rifiutò le offerte di collaborazione del geniale inventore
americano Robert Fulton
che,
tra l’altro, aveva sperimentato con promettente esito, nelle
acque francesi, una sottomarino. Sul punto di invadere
l’Inghilterra Napoleone aveva bisogno di quanto si poteva
impiegare immediatamente, non da sperimentare.
Disilluso, Robert
Fulton
tornava in America portandosi dietro una macchina a vapore acquistata
da un buon costruttore inglese, che egli installò nel 1807
sul “Clermont”
impiegandolo sulla linea costiera corrente tra New York e Albany, che
pertanto va considerata la prima nave da passeggeri in regolare
servizio costiero. È così che gli americani
possono
vantare gli inizi di un’attività tra le
più
importanti della civiltà, ma su acque ridossate e interne.
Per
arrivare al mare aperto via via fino alle traversate atlantiche del “Savannah”
e del “Sirius”
i passi non saranno brevi. Certo è che nei decenni 30 e 40
del
1800 la navigazione a vapore prende un grande sviluppo ma non
è
pacifico riconoscere a chi spetti veramente la palma della prima
traversata, si vuole arrivare anche al “Great
Western” e alle sue 64 traversate.
Una
novità pronta
ad attirare subito l’interesse degli imprenditori
più
attenti ma anche forti perplessità e paure perché
riguardante niente meno che un fuoco da tenersi a bordo, quindi
generale allarme quando una fumosa vaporiera in avvicinamento veniva
scambiata per una nave con un incendio a bordo.
Ma la via appare
comunque aperta ad un progresso stimolante.
Si può
dire che tutto
ha avuto inizio con quella pentola sottoposta alla pressione
del
vapore dell’acqua bollente realizzata da Denis (Dionigi) Papin
nel 1679, dello studio di quello che si presentava come caratteristico
fenomeno ancora sconosciuto e due anni dopo sulle sue
possibilità di muovere una macchina. La prima
novità
è data dalla macchina motrice a vapore ma non dalla nave
come
tale. Lo scafo non si discosta inizialmente dal vecchio tipo, serpa
compresa, e dal clipper a vela col mantenimento integrale
dell’attrezzatura propria del veliero a due o a tre alberi.
Chiaro indice, questo,
che la macchina non gode ancora il pieno
affidamento. E poi? È a questo punto che viene a spalancarsi
la
via del progresso anzi le vie che si fanno sempre più
numerose e
più sofisticate con un accumularsi di studi, di brevetti, di
geniali invenzioni e miglioramenti riguardanti qualunque parte della
macchina tanto da renderla competitiva più che mai smentendo
la
trovata ironica del “vento pagato” propalata dagli
armatori
delle navi a vela che, se agli inizi potevano imporsi sulle grandi
distanze, questo vantaggio veniva a cessare grazie ai maggiori
rendimenti delle caldaie accompagnati da diminuiti consumi di
combustibili. Tutto è
destinato a cambiare sia a bordo che nei
porti e nell’immediato retroterra. A bordo con la divisione
dell’equipaggio in due gruppi ben distinti, il personale
detto di
coperta e, ben distinto, il personale di macchina. A terra con la
nascita di numerose e differenziate attività che rendono la
vita
portuale quanto mai viva e prosperosa: officine, depositi di
combustibile, magazzini, rifornimenti vari, strumentazione tecnica,
lavori di manutenzione e pitturazione, fornitura viveri, assicurazioni
, agenzie marittime, cambiavalute, servizi di guardianaggio,
lavanderia, fornitura di vestiario, agenzie di rappresentanza, e
perfino di pittori d’arte specializzati in tele ricordo ed ex
voto.
Dava da pensare
dove
posizionare il propulsore identificato nelle ruote a pale fisse
cerchiate, poi articolate, a mezza nave una a destra e una a sinistra,
sistemazione riconosciuta la più pratica e rispondente.
L’americano Fitch
tentava nel 1788 un curioso sistema di remi fissati su di un traliccio
sporgente dalla poppa nell’ “Experiment”
e un altro sistema con sei remi rigidi su telaio mobile per lato che
lui stesso finiva per riconoscere problematici.
La macchina a
vapore non
è un monoblocco, a cominciare dalle due parti intimamente
collegate e rispondenti a due tecnologie diverse, la generatrice del
vapore e la macchina propulsiva vera e propria. Non è
neppure
una novità, essendo nata a terra per impieghi terrestri. Ma
il
vasto campo operativo e i vantaggi che si potevano trarre non tardavano
ad attirare l’attenzione generale. Per primi gli americani Robert Fulton, John e Robert Stevens, Oliver Ewans seguiti
(e superati) dagli europei che contavano molti ricercatori,
sperimentatori, inventori, operatori di vario genere.
Nasceva
e si sviluppava
una
branca nuova nella navigazione di cabotaggio raggiungendo per la prima
volta l’interesse popolare (riscontrabile perfino in
componimenti
poetici), con la generale diffusione
di un costume legato alle vaporiere quando divenne comune la pratica
dei collegamenti tra i centri costieri grazie alla celerità
e
alla economicità riguardanti un grande numero di interessati
non
più tenuti divisi dalla mancanza o dal cattivo stato delle
strade. Un fattore sociale con impensabili risvolti non solo economici
ma anche culturali.
Il termine
“vaporiera” sparisce presto nella complessa
terminologia legata al progresso tecnologico.
Persiste invece
curiosamente
un termine ancora più vecchio: quello di
“piroscafo”
che non è altro che il nome “Pyroscaphe”
portato da un barcone di una quarantina di metri col quale il francese Jouffroy
ha sperimentato con successo sulla Senna, nel 1775, un propulsore a due
ruote non cerchiate con sei pale montate su macchina Watt.
Pezzo per pezzo
tutto veniva
riesaminato, perfezionato, reinventato portando la temperatura e la
tensione del vapore a valori al suo tempo impressionanti, aumentando il
numero dei cilindri (vedi la triplice e quadruplice espansione fattesi
dominanti), introduzione di combustibili adatti adeguando
perfino
il disegno d’ingombro della macchina alla forma che stavano
prendendo gli scafi per le pressanti esigenze prima militari e poi
anche civili.
Delle primitive
romantiche vaporiere non rimaneva che un vago ricordo.
Anche il
Mediterraneo
Settentrionale ha scritto degne pagine di storia in materia, in misura
commisurata alle caratteristiche geopolitiche e socioeconomiche
dell’ambiente. L’Amministrazione Privilegiata dei
Pacchetti
a Vapore di Napoli mette in mare nel 1818 la vaporiera “Ferdinando
I°” che si fa notare per il primo
viaggio da Napoli a Marsiglia seguita nel 1824 dalla “Real Ferdinando”. In realtà
è stata propriamente la vaporiera “Carolina”che
nello stesso anno veniva impiegata in una regolare linea tra
Trieste e Venezia. L'Austria aveva provveduto nel 1817 ad
interessarsi delle nuove possibilità pubblicando
l'invito alla navigazione con natanti atti a muoversi
contro corrente e contro vento senza impiegare la forza degli animali,
assicurando per 15 anni protezione e privilegi. La patente veniva
acquisita da John Allen, un americano trapiantato a
Trieste che nel 1818 metteva in linea il "Carolina"
al quale capitava l'anno successivo un guasto alla caldaia con
conseguente fermata. Subentrava il socio Morgan che si avvaleva di
una nuova vaporiera, simile all'altra, mantenendo il nome di "Carolina" (2).
Ottenevano privilegi similari quanti intendevano
mettere in
servizio locale imbarcazioni per lo più minori sulle acque
interne (Po, laghi) finché arriva il 1836 e la fondazione
del
Lloyd Austriaco che apre una regolare linea di comunicazione con
Costantinopoli. La prima vaporiera dell'armamento sociale “Arciduca
Ludovico”
arriva dall’Inghilterra col seguito di altre quattro
vaporiere
pressoché uguali costruite però nell'Arsenale
aperto dallo
stesso Lloyd, con un seguito progressivo di navi che entreranno a far
parte dei vertici della marineria italiana.
Di vaporiere non si
parlerà
più.
A.C.
Piroscafo "Trieste" del Lloyd
Austriaco, 1847 (Clicca sull'immagine per ingrandirla full
screen)
vai alla
galleria
delle immagini
P/s "Scotia": cresce la potenza delle caldaie e delle macchine,
cresce
anche la spinta delle ruote.
Ma siamo alle ultime realizzazioni
perché l'elica sta imponendosi.