Vien
da chiedersi come mai l’immensa distesa marina
dell’Oceania sia chiamata Oceano
Pacifico. Si devono considerare in particolare il regime
dei venti con grandi violenze cicloniche, la configurazione dei fondali
ed il fenomeno dello tsunami, l’onda solitaria mostruosa di
una violenza estrema che nel “Pacifico” sono di
casa. Forse per una errata o mal letta scritturazione antica o
semplicemente perché così è piaciuto
per scaramanzia.
Non solo
è la più aperta distesa marina, ma anche la
più profonda, mediamente tra i 3.500 e i 3.900 metri, ma
anche in assoluto raggiungendo nella così detta fossa delle Marianne
i -10.911 metri (raggiunti col batiscafo “Trieste” nel 1970) e
nella fossa delle
Filippine che segue a ruota con i suoi -10.476 metri.
Grande il numero
di arcipelaghi e di isole a cavallo dell’equatore, ad est
della Nuova Guinea e dell’Australia, che vanno poi
diradandosi procedendo ad oriente. Indonesia con
Sumatra, Giava, Isole della Sonda, Borneo, Celebes, Filippine; Micronesia
con Marianne, Caroline,
Molucche,
Wake, Gilbert; Melanesia
con Nuova
Guinea, Salomone, New Britain, Nuova Caledonia, Figi, Santa
Cruz; Polinesia
con Nuova
Zelanda, Ellice, Tokelau, Samoa, Futuna, Tonga, Hawai,
Christmas, Cook, Tahiti, Isole Australi, Gambier, Tuamotu, Marchesi fino a perdersi
nella lontana e misteriosa isola
di Pasqua. Un mondo a
sé stante diviso ancora tra la Gran Bretagna, la Francia,
l’USA, l’Olanda e un condominio anglo-francese,
quanto resta cioè di un favoloso passato .
L’etnologia
presenta una facies assai complessa considerato il fatto che
i vari ceppi antropologici degli arcipelaghi ed isole occidentali
indicherebbero una provenienza negroide diversificandosi in tasmaniani,
melanesiani e papua, che rappresentano il ceppo più antico.
In fatto di
civilizzazione, le razze e sottorazze generalmente in decadenza si
trovavano alla fine del 1800 ancora nell’età della
pietra , che viene mantenuta tutt’ora in qualche zona
dispersa. Ciò non ha impedito, fatto unico,
l’accurata lavorazione del legname con pietre taglienti e
conchiglie con risultati strabilianti. Fatto unico, inoltre,
l’adozione parecchio generalizzata del bilanciere, singolo o
doppio, che rende possibile il mantenimento dell’equilibrio
su di un mare che generalmente non è calmo.
La navigazione
è pratica corrente nella Melanesia ed i melanesiani sono
stati considerati i più abili costruttori di imbarcazioni di
legno assemblate senza uso di chiodi ma con cavicchi e legature. Si
dedicano preferentemente al piccolo cabotaggio fra le isole
circonvicine. Diverso è il discorso per quanto riguarda la
Micronesia e la Polinesia con nativi che possono considerarsi i
più antichi navigatori del mondo, capaci di muoversi su di
un mare sconfinato senza carte né strumentazioni,
né possibilità di rilevazione di punti fissi di
nessun genere. Una vera e propria arte del navigare che condividono con
l’abilità di pescatori per necessità di
sopravvivenza nei lunghissimi viaggi. Esistono singolari promemoria, se
così si possono chiamare, formati con stecche di
bambù variamente disposte e intrecciate con conchiglie
fissate in diversi e irregolari punti che altro non possono essere che
il promemoria riguardante qualche arcipelago.
Due ufficiali di
marina francesi avevano acquisito per conto del Museo
dell’Uomo di Parigi un esemplare di canoa che avevano
smontato per necessità del trasporto in Francia ma
è successo che poi non la seppero ricomporre. Non
è da meravigliarsi se gli stessi nativi non sanno il
più delle volte orientarsi in quello che potrebbe essere il
restauro di qualche vecchio relitto. È significativo il
fatto che veniva venerato anche un dio dei nodi al quale era affidata
la vita del navigante e che all’imbarcazione veniva
riconosciuta la dignità di persona umana.
I modelli tipici
delle imbarcazioni sono tanti e tali che non è possibile
darne conto in questa sede se non in termini esemplificativi: gruppi ad
uno e due bilancieri, ad uno o due scafi, piroghe multiple a tre o a
quattro scafi, vele di varia grandezza, forma e positura , tra le quali
interessanti quelle triangolari con taglio superiore a V molto
allargato che si piegavano al vento assumendo la forma di grandi chele
che confondono l’osservatore.
Grande la cura
con la quale sono tenute le imbarcazioni e molto diffusa la decorazione
con elementi lavorati a parte e poi applicati sugli scafi quando non
sono gli scafi stessi a prestarsi ad opere d’intarsio a volte
molto complesse. Abbastanza diffusa si presenta anche la pratica delle
decorazioni dipinte con motivi per lo più geometrici ma
anche zoomorfi o antropomorfi. In rapporto a quanto è
rilevabile nel campo dell’etnologia generale, la pratica
della decorazione nautica dell’ Oceania si presenta come la
più ricca e più variata in diverse posizioni
culturali, dalle più semplici alle più complesse,
cioè dall’età della pietra a periodi a
noi vicini..
I vari gruppi
tribali vivevano nell’antichità in completo
isolamento l’uno dall’altro venendo così
a mancare ogni forma di scambio culturale a beneficio, si
può dire, degli antropologi ed etnografi il lavoro dei quali
può apparire per certi versi semplificato.
Un mondo
apparentemente semplice nel campo delle realizzazioni tecniche, del
vivere quotidiano, ma spiritualmente ricco, che appare già
disposto ad adottare timidamente i “benefici” del
modernismo con le intuibili conseguenze che le grandissime distanze da
superare possono ancora contrastare in qualche modo, fermo restando il
fatto che l’Oceania è e rimane il più
grande serbatoio nautico esistente.