Caccia o pesca?


 

Lo stretto di Messina, attraverso il quale il Mar Tirreno tende a mescolarsi con lo Jonio oppure il Mar Jonio intende passare nel Tirreno, interpone una strettoia di 3,15 chilometri che si allarga verso il meridione fino a 18 chilometri. Un passaggio obbligato usato fin dai tempi più antichi  da spericolati naviganti (altro non potevano essere) assai poco propensi ad affrontare l’interminabile giro della Sicilia ed altrettanto per il ritorno. Il passaggio non era tranquillo anche se i due mari s’erano messi d’accordo, si direbbe, l’uno alla destra e l’altro alla sinistra lambendo separatamente le sponde della Calabria e della Sicilia , passaggio impegnato da correnti irregolari e da gorghi , dura prova per i fragili scafi di una volta tanto da dare credito alla leggenda dei due mostri, Scilla e Cariddi, l’incontro o scontro con i quali era spesso esiziale.

Però la zona era molto pescosa e venne a formarsi nonostante tutto una classe di pescatori specializzata nella cattura dei pescispada (Xiphias Gladius), di grande corporatura e peso tale da non poter prendersi con il normale armamentario peschereccio, di abitudini migratorie, veloce nuotatore tranne nel periodo annuale della riproduzione quando il maschio si fa alquanto passivo.

A fronte del pesce che esibisce una pericolosa spada il pescatore si fece fiocinatore modificando e adattando via via con l’esperienza la struttura della barca e le modalità dell’impiego, fino a giungere all’incredibile realizzazione di Bagnara Calabra (vedi di seguito).

Tecniche, regole e riti si ripetevano nell’ambito di gruppi familiari in rigide suddivisioni e aree di esercizio. Valevano dapprima gli altorilievi costieri secondo il principio che era di competenza il tratto di mare fin dove arrivava lo sguardo, fin dove era possibile seguire i movimenti del pesce che passava a fior d’acqua. Da terra, un segnalatore detto “vardiano”  segnalava i movimenti alla barca impegnata nella fazione con grida cadenzate e con una bandieruola bianca.

Le acque territoriali e costiere calabre rientravano un tempo nel privilegio feudale dei principi Ruffo al quale rimanevano poi funzioni d’ordine e controllo. Il numero delle unità di pesca formato da un numero di barche variante nel decorso del tempo rimaneva pressoché costante negli anni correnti dal XVI sec. al 1945 circa, vale a dire 18 gruppi di caccia su 15 km di costa.

La zona costiera siciliana, diversa da quella calabrese, ha richiesto varianti ed adattamenti, quali, ad esempio, l’osservatore operante a terra su di un alto palo o da un vecchio natante fuori uso. E i siciliani sono i primi a rendersi conto che dopo tanti secoli di attività uniforme i tempi stavano cambiando inesorabilmente.

 Luntro di vecchio tipo

La barca propria di tipo insostituibile nella caccia al pesce spada era il luntre, nota già ai tempi del greco Polibio, liberto addetto alle opere di cultura nella cancelleria imperiale romana del primo d. C., che descrive minutamente un’uscita di caccia con la cattura di un pesce, citato nel 1638 dal gesuita Atanasio Kirker, da Linneo nel 1758, che troviamo già perfezionata nella descrizione lasciata da Lazzaro Spallanzani.

Intorno alla metà del 1900 si manifestava una certa evoluzione ma solo nei criteri d’impiego ferma restando la struttura del natante chiamato anche luntru. Nome derivante dal latino linter e dal basso latino lunter, con varianti lontre e loudra.

Barca piccola , lunga da 5 a 7 metri, senza chiglia, alla quale veniva richiesta la massima stabilità., con equipaggio di cinque rematori e l’arponiere. Variava , come compare grazie alle fotografie, la disposizione dei rematori, ad esempio tutti in piedi rivolti verso il senso di marcia, oppure due seduti dando di schiena al fiocinatore e due in piedi rivolti verso i seduti. Il quinto rematore saliva sull’alberetto d’osservazione.

Venivano adoperati nella costruzione della barca più qualità di legname, pino, gelso, quercia. Non mancava il simbolismo richiamato dalla colorazione, nero, rosso sangue, rosso, bianco, verde, con particolare uso di antiche formule di scongiuro proprie sia per ciascuna parte della barca, protetta da amuleti e formule di scongiuro, sia per gli uomini dell’equipaggio, per ciascuna parte dello stesso pesce issato a bordo, tradizionalmente di loro spettanza a seconda delle mansioni svolte con l’accompagnamento di formule fortemente ritualizzate. È questo il settore che maggiormente ha subito modifiche e aggiornamenti dall’epoca più antica, quella dello stretto feudalesimo, da quando sia il mare che i pesci e quant’altro interessava erano di esclusiva proprietà del feudatario.

Per tenere pronti gli arponi venivano inseriti ad incastro sui bordi a destra e a sinistra dell’arponiere due maschitti, tavole verticali con due scalmiere ciascuna dove a portata di mano riposano trasversalmente le aste degli arponi (che caduti accidentalmente in mare non affondano e si ricuperavano).

Complessi i rapporti tra i componenti dell’equipaggio secondo una gerarchia difficile da raggiungere, costituente uno status sociale dei più ambiti in un mondo a sé stante. Il linguaggio di mestiere usato nelle varie fasi della caccia rispecchiava l’antico formulario greco, riconoscibile nonostante inevitabili storpiature. Singolare il fatto che il ferro dell’arpione rimaneva proprietà del fabbro che lo forgiava secondo una sua modalità vantata segreta, che lo dava all’arponiere solo in affitto, ricevendo anche la parte del pesce dove era penetrato il ferro.

L’area di attività siciliana andava, agli inizi del 1900, da Punta Paradiso sulla penisola di Milazzo a Punta Faro lungo una cinquantina di chilometri. Il numero e la dislocazione delle poste, formata ciascuna per lo più da due feluche e da due luntri, e la formazione degli equipaggi erano soggette negli ultimi tempi ad ordinanze delle capitanerie di porto anche dalla parte calabra.

C’è da dire che la caccia non si limitava ai pesci spada, ma riguardava anche i delfini e i pescecani per i quali valevano la draffiniera, la fuscina e l’arpione a più denti.

   

Barche come queste sopradescritte non esistono più. Un esemplare, costruito nel 1954 a Chinalea da un vecchio maestro d’ascia, è stato acquistato nel 1981 dal comune di Scilla e conservato come cimelio storico.

 

Sotto la spinta della necessità di adeguare il rendimento della barca all’aumento che si verificava nei costi della vita, si muovevano nel 1952 , per primi, i pescatori siciliani di Ganzirsi con il materiale di sempre, una passerella di circa sei metri sulla prua tale da consentire un arpionamento della preda a corta distanza  e un albero di osservazione con l’estremità raggiungibile per mezzo di una scala di corda.

Si aggiungeva presto un motore ed il successo sembrava assicurato stante il numero delle prede sostanzialmente cresciuto tanto da portare all’estinzione un passato di due millenni.  Inizialmente la barca era troppo leggera e sbilanciata, si cambiava fino ad arrivare alla realizzazione della feluca o meglio passarella, unica nel suo genere, non riscontrabile in nessuna altra parte, non rispondente ai canoni tecnici e operativi, diremmo anche etnografici e filosofici, che sono riscontrabili nei pescherecci.

Cambiavano innanzi tutto i materiali costruttivi dando ampio spazio al metallo. La realizzazione di maggior mole è dato dalla passarella costruita nel 1981-82, munita di due motori e bene zavorrata, con scafo lungo 16,90 metri, largo 4,70 metri ed alto 2,10 metri. L’originario alberetto d’osservazione degli inizi è venuto a tramutarsi in un ben alto e impressionante traliccio suddiviso in tre sezioni alto 32 metri, con passarella lunga ben 42 metri, il tutto sostenuto da chilometri di cavetto d’acciaio. Ne è risultata una “macchina” di non agevole gestione tanto che opera soltanto in un posto.

Sembra che questa nuova tecnica non abbia incontrato il favore generale e tende a scomparire considerato il fatto che le 17 passarelle operanti a Scilla nel 1977 sono ora soltanto 3. Qualcosa di simile vale anche per quanto riguarda Bagnara Calabra.

Il progresso non è arrestabile neppure in un settore assai legato alle proprie tradizioni, regole e riti qual è sempre stata la marineria.

A.C.

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Vedi testi di Serge Collet, 1993; Sergio Bellabarba e Edo Guerrieri, 1997; Antonio Arena, 1997

Su internet: 

http://www.cosedimare.com/storie/pescapescespada.php

http://www.maridelsud.com/Stretto%20Messina/Spada/pescespada.htm

http://it.wikipedia.org/wiki/Pesce_spada

http://www.ganzirri.it/spip.php?article9