LA NUOVA MARINA

 

La guerra finisce lasciando immani distruzioni materiali e morali. L’Italia ne esce a brandelli con gli specchi d’acqua seminati di relitti, che emergono dai bassi fondali per di più minati e richiedenti un pericoloso lavoro di bonifica, con i cantieri navali semidistrutti. Il morale della gente pencola tra l’annichilimento e la speranza di una problematica ripresa.

La R.Marina allinea tuttavia un numero di unità militari non disprezzabile, sulle quali le potenze vincitrici allungano le mani. Comunque la marina è già un organismo operante su tutto il territorio nazionale grazie ad un Ispettorato per l’Italia del Nord predisposto al Sud in anticipo.

Le clausole applicative del trattato (diktat) di pace tradiscono le aspettative e impongono la consegna di quasi la metà delle navi più valide. Viene concessa all’Italia una flotta militare entro il limite di 67.500 tonnellate di dislocamento con una forza non superiore a 28.000 uomini (durante la guerra la forza aveva superato i 250.000 uomini) con l’inibizione di dar mano a nuove costruzioni prima di cinque anni. Proibiti in ogni caso i sommergibili, le motosiluranti, le portaerei e sopra tutto i mezzi d’assalto. Diverse navi vengono assegnate alla Francia, alla Russia, alla Grecia, alla Jugoslavia nonché agli USA e all’Inghilterra, che però ne fanno rinuncia con l’obbligo di passarle alla demolizione.

Resta alla R.Marina poco più di un’esistenza simbolica con 48 navi operative e 197 ausiliarie minori compresi i rimorchiatori portuali e le bette. Queste clausole rimangono in vigore anche quando, nel 1949, l’Italia aderisce alla NATO finché viene riconosciuta la decadenza, due anni dopo, con la costituzione della Zona Marittima Italiana, una delle quattro zone previste dal patto nel Mediterraneo, con Napoli sede del comando in capo delle forze alleate.


Nel 1946 cessa la monarchia a seguito di un referendum popolare che opta per la repubblica. La bandiera fregiata dello scudo sabaudo scende dai pennoni delle navi e resta per il momento il solo tricolore storico che nel 1948, con l’entrata in vigore della nuova costituzione, viene fregiato con lo stemma inquartato delle antiche repubbliche marinare, che non è una novità perché già esistente come fregio nei quadrati delle grandi navi.

La Marina Militare Italiana (è questo il nome ufficiale), non più regia, ricostruisce una nuova immagine grado a grado e quasi in sordina. La ricostituzione della flotta ha inizio con la cessione da parte degli USA di 3 fregate, 3 caccia, 6 cannoniere d’appoggio, 4 sommergibili e poi con nuove costruzioni nei cantieri nazionali a partire dal 1957.

 

A novant’anni di distanza viene a ripresentarsi una situazione simile a quella del 1861. La ricostruzione viene a coincidere con l’avvenuta comparsa di nuove tecniche, la turbina a gas che surclassa la turbina a vapore, nuove armi, nuove apparecchiature, con la saldatura autogena generalizzata e la prefabbricazione. La nuova arma, il missile contronave, provoca l’abbandono del cannone di grosso calibro e della contrapposta corazza con grande risparmio di pesi e di dislocamento. Il cannone non viene comunque sbarcato, resta il piccolo calibro automatizzato a tiro celere e supercelere, e il tipo OTO Melara viene adottato, oltre che dalla marina italiana, da numerose marine estere. L’elicottero apre possibilità operative e tattiche impensate, l’architettura navale si adegua con sistemazioni d’imbarco per uno o più esemplari. La vasta gamma delle apparecchiature elettroniche, dapprima spettacolari e poi miniaturizzate, e la rete satellitare rivoluzionano radicalmente sia la navigazione che l’impiego delle armi. La propulsione atomica è ancor più rivoluzionaria sollevando le unità in mare dalla necessità dei rifornimenti di combustibile, ma frutto di una tecnologia con relativi costi che solo quattro potenze possono permettersi (USA, URSS, Inghilterra, Francia).

Non sono più necessari i grandi dislocamenti tranne che per le portaerei, talune gigantesche e tanto costose che una sola potenza, gli USA, può mantenere in servizio attivo.

Si modifica vistosamente l’architettura navale con l’adozione di forme scatolari essenziali che rendono somiglianti tutti i tipi, ormai dichiaratamente polivalenti, con un’apparenza estetica decaduta di non pochi punti rispetto al passato. Ancor più radicale, dopo la fase interlocutoria del “Guppy” americano, si presenta la trasformazione del sommergibile, o più propriamente del sottomarino, sia sotto l’aspetto idrodinamico con scafo a goccia d’acqua, sia nella propulsione, sia nell’armamento missilistico (che nelle grandi unità americane e russe è balistico intercontinentale atomico), con capacità di spostamento in superficie e subacquea a velocità elevate e quote da batiscafo. Va rilevato a questo proposito la costruzione di mezzi di esplorazione sottomarina e ricerca scientifica a grandi profondità iniziata nel 1953 con il batiscafo “Trieste I°” (progetto Piccard, realizzazione CRDA–Monfalcone, Terni, Castellamare di Stabia) che tocca per primo la fossa più profonda del Mediterraneo (e poi dell’Oceano Pacifico).

Si generalizza l’imbarco dell’aeromobile ad ala rotante, comparso concettualmente nel 1912 con il progetto Marchetti, nel 1925-27 con la realizzazione D’Ascanio e successivamente con le prove pratiche del 1935 eseguite con l’autogiro La Cierva a bordo dell’incrociatore “Fiume”, fermo e in moto.


Tutto ciò comporta costi crescenti, esige disponibilità di denaro ben superiori alle normali assegnazioni di bilancio per cui subentra ben presto una situazione di scadimento allarmante per cui, nel 1973, la Marina Militare pubblica un “libro bianco” per sensibilizzare l’opinione pubblica e allertare gli organi di governo con l’esito dell’emanazione, due anni dopo, della legge detta “navale” che assicura la costruzione in dieci anni finanziari di una cinquantina di unità maggiori e minori di vario impiego anche se alcuni tipi non sono che dei prototipi in quanto non è possibile superare del tutto lo scoglio finanziario. Non pochi gli istituti scientifici nei quali la Marina è interessata, di vecchia e nuova istituzione, come l’Istituto Nazionale di Studi ed Esperienze di Architettura Navale ed il Gruppo Sperimentale del Comsubin per le immersioni profonde. Continuano su tutti i mari vicini e lontani le crociere di addestramento, anche di circumnavigazione, e le visite di bandiera, occasione di esercitazione con le forze locali come, ad esempio, in Egitto ed in Argentina. Nel 1999 viene attivata, con sede a Barcellona, la Forza Anfibia Italo-Spagnola (SIAF) con comando di brigata permanente e attivazioni temporanee.

 

Viene risolto finalmente il vecchio problema nato nel 1923 con lo scioglimento, in favore della neonata R.Aereonautica, della Forza Aerea della Marina istituita, questa, nel 1920 quale evoluzione del Servizio Aeronautico dimostratosi tanto utile durante la prima guerra mondiale. Si è già fatto cenno degli annosi dibattiti dottrinari in favore della disponibilità diretta della Marina di un proprio parco aereo autonomo restando isolato e improduttivo, da ultimo, il fatto dei suoi primi piloti inviati nel 1950 alla scuola aerea della US Navy. Bisogna arrivare al 1989 con la legge che, finalmente, riconosce esplicitamente e organicamente questa appartenenza sia degli aeromobili imbarcati che di quelli basati a terra, che fanno dell’incrociatore “Garibaldi” una vera portaerei anche se di piccolo tonnellaggio, ben diversa dagli inattuati progetti degli anni 1925, 1930, 1940 imbarcando oltre che un certo numero di elicotteri anche aeroplani a decollo verticale.

 

Nel 1961 ricorre il centenario istitutivo della Marina Militare con un consuntivo che attesta la costruzione di 3293 navi, delle quali 2888 operative, l’effettuazione di 24 peripli del globo terrestre, 63 campagne di istruzione, molte campagne di ricerca oceanografica e partecipazione ad esercitazioni insieme a navi militari di bandiera estera. Universalmente nota la nave scuola “Vespucci”, che nel 1981 festeggia il cinquantenario di attività, simbolo nazionale e portabandiera, con 48 campagne e scalo in 300 porti diversi di 34 nazioni, tutt’ora in pieno e proficuo servizio. Da citare anche il centenario dell’Accademia Navale di Livorno, solennizzato alla presenza dei rappresentanti di 16 accademie estere.

Le esigenze alle quali la Marina Militare deve rispondere vengono intanto a mutare sia a seguito degli impegni assunti in sede NATO, che affida all’Italia la difesa del traffico nel Mediterraneo, che in sede ONU richiedente missioni a volte molto impegnative. Una Forza Navale alleata di primo intervento, con navi americane, inglesi, germaniche, olandesi, francesi, spagnole, portoghesi, turche e italiane batte bandiera con periodiche attivazioni mostrandosi nei vari porti del Mediterraneo o secondo necessità determinate dalle ricorrenti crisi politiche, sociali o conseguenti a pubbliche calamità.


Rilevanti si presentano anche gli impegni in sede internazionale, Libano, Mar Rosso, Somalia, Oceano Indiano, Golfo Persico, Bosnia, Montenegro, Kossovo, Albania, isola di Timor (Indonesia), con vari interventi delle unità navali e del Battaglione San Marco. Permanente la presenza di alcune unità leggere nella stazione navale del Sinai.

Entrano in servizio nuovi tipi di navi, i pattugliatori e i cacciamine, che vengono commissionati anche da marine estere, le navi appoggio con ponte di volo, e i rifornitori di squadra. Ulteriore adeguamento viene attuato nel 1989 con la costituzione della Guardia Costiera quale articolazione operativa dei mezzi nautici ed aerei delle Capitanerie di Porto (istituite nel 1865), che conta 350 mezzi navali con 100 basi, elicotteri e velivoli bimotori anfibi. Riorganizzazione resa indispensabile dalla necessità di una crescente sorveglianza marittima costiera per ragioni di ordine pubblico, assistenza sanitaria, rispetto dell’ambiente, esercizio della pesca, operazioni di salvataggio, disciplina di comportamento e controllo richiesto da un gran numero di attività alcune delle quali illecite.

Indice delle profonde trasformazioni planetarie con scenari che impongono attenzione e vigilanza nonché concetti nuovi di presenza militare sul mare. Molti gli impegni sicché, nel 1998, torna a farsi sentire la necessità di adeguamenti non fisiologici, per cui si arriva all’emanazione di una nuova “legge navale” finanziaria con programmi avanzati già previsti e unità navali già progettate.

Organizzazione molto complessa, questa della Marina, e soggetta ad essere all’occorrenza riveduta e, per ovvie ragioni, aggiornata. Si contano attualmente, alla soglia del nuovo millennio, 103 tra comandi, direzioni, uffici, segreterie, reparti, enti, ispettorati, scuole. Il tutto suddiviso in due gruppi, il primo facente parte della struttura di vertice, il secondo comprendente gli organismi dipendenti, in sedi dislocate a Roma, Taranto, La Spezia, La Maddalena, Genova, Venezia, Brindisi, Napoli, Ancona, Aulia, Messina, Augusta. Anche le attività di bordo vengono aggiornate e attualmente, eliminato il vecchio sistema frazionato (armi, centrale operativa, antisommergibile, volo, servizi elettrico, genio navale, marinaresco, dettaglio, logistico-amministrativo), vengono organizzate in rapporto alla dipendenza organica secondo la “funzione combattimento” (operazioni, tecnica), la “funzione mobilità” (sistema nave) e la “funzione sopravvivenza” (logistica) con reciproche interazioni.

Alcuni reparti oltrepassano i limiti delle attività proprie di un ente militare, come la rete dei fari e delle segnalazioni marittime, della quale si avvale ampiamente la marina mercantile, le attività sportive e da diporto nautico con imbarcazioni che sono vere navi scuola, il concorso alla salvaguardia dell’ambiente ecologico marino, la cooperazione nelle ricerche dell’archeologia subacquea, il rifornimento idrico delle isole.

Un secolo e mezzo di vita molto attiva con un curriculum che alimenta un numero di pubblicazioni storiche, tecniche e dottrinarie fattosi cospicuo, divulgato da molti autori, fotografi ed editori, tra i quali lo stesso Ufficio Storico dello Stato Maggiore, che cura numerose pregevoli edizioni di volumi e riviste periodiche specializzate.


La tradizione storica e culturale si è notevolmente consolidata ponendosi in buona posizione accanto ad istituti quali i musei tecnico e storico di La Spezia e di Venezia, il Famedio di Pola, il Monumento Nazionale al Marinaio di Brindisi, il Faro della Vittoria di Trieste, il Sacrario della Marina al Vittoriale di Roma e non ultimo per la sua significatività il grande numero di monumenti, cippi e lapidi visibili in ogni parte del territorio nazionale, ma anche all’estero, curati dalle varie sedi locali dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia, della Lega Navale Italiana e di associazioni o gruppi minori. Non ultime, in sede divulgativa, di studi settoriali e di salvaguardia archivistica l’Associazione Marinara “Aldebaran” di Trieste e l’Associazione Modellisti Bolognesi.

 

In conclusione, nell’ambito del vigente “modello di difesa” delle Forze Armate, vengono affidate alla Marina Militare le seguenti funzioni strategiche:

·          permanenza e sorveglianza in tempo di pace della sicurezza nazionale e della tutela dell’ambiente mare

·          difesa integrata degli spazi nazionali in caso di aggressione, anche in aiuto di un paese alleato

·          difesa degli interessi esterni e contributo alla sicurezza internazionale in situazioni di tensione e di crisi (divenuta questa una costante operativa concreta, non teorica, con un elemento di primo intervento che è dato dalla flotta).

L’Italia si presenta quindi nella veste di una “potenza regionale media con interessi globali” basati sui mezzi navali, che sono intensamente impiegati come conseguenza del loro limitato numero, dei quali non può fare istituzionalmente a meno. Ma, pur vivendo la nazione in funzione quasi esclusiva dei traffici marittimi, non può non sorprendere il fatto che, malgrado tutto ciò, essa appaia ancora carente di una “politica navale” governativa coerente e adeguata, che sia priva di una cultura navale come bagaglio corrente, parimenti a quanto avviene in altri paesi esteri che vivono e operano sul mare.

 

 

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