UN VENTENNIO DI GRANDI AVVENIMENTI
Nel 1914 scoppia la prima guerra mondiale tra i contrapposti blocchi delle potenze occidentali e degli imperi centrali, senza limiti sul mare che viene fatto teatro di azioni senza precedenti. In base ad una clausola segreta, l’Italia (formalmente legata, al momento, alla Triplice Alleanza) dovrebbe basare la sua flotta a Messina, l’Austria-Ungheria a Taranto e la Germania tra Napoli e Messina. Ma le cose vanno in modo diverso. L’Italia, dichiarata la sua neutralità, viene a trovarsi in posizione equivoca dalla quale esce ripensando i suoi interessi reali. La guerra è alle porte di casa con un blocco navale del canale d’Otranto da parte dei Francesi, basati a Corfù, con l’appoggio degli Inglesi di Malta. L’Italia scende in campo nel 1915 dalla parte delle potenze occidentali assumendo il compito di mantenere il blocco insieme ad un’aliquota di navi inglesi con base a Brindisi.
Una guerra di logoramento anche sul mare con teatro ristretto praticamente all’Adriatico e con posizioni non favorevoli in termini geografici per il differente andamento delle coste, piatte e importuose da parte italiana e coronate da isole con canali navigabili ridossati in gran parte della parte avversaria.
Quattro sono gli aspetti peculiari della partecipazione italiana:
· la progettazione e l’intenso impiego dei MAS, iniziata dall’ing. Attilio Bisio della S.V.A.N. Società Veneziana Automobili Navali, le prime vere unità insidiose e veloci concepite sia come siluranti che come cannoniere e perfino posamine insieme a due particolari mezzi d’assalto, il “barchino saltatore” e la “mignatta”
· i treni armati contro nave e contro aerei a difesa delle coste aperte lungo tutto il lato occidentale
· l’aviazione di marina, dalla quale scaturisce, nel 1917, la Prima Squadriglia Navale Siluranti Aeree
· la fanteria di marina composta da marinai delle grandi navi inattive o affondate, trasformata in unità permanente (Reggimento San Marco).
Vengono fornite inoltre al fronte terrestre diverse batterie di cannoni navali di grosso, medio e piccolo calibro servite dapprima dagli stessi marinai e poi passate al personale del R.Esercito. Intenso il servizio dei piccoli piroscafi della laguna veneta, requisiti in grande numero e impiegati come cannoniere, ambulanze, pontoni armati, trasporti truppe.
Guerra di usura, si è detto, e d’insidia, con le grandi navi che poco si muovono riversando gran parte dell’attività sulle siluranti di superficie e sottomarine con stillicidio di affondamenti da ambo le parti. Si fanno notare protagonisti quali Gabriele d’Annunzio, Luigi Rizzo, Costanzo Ciano, Andrea Bafile, Raffaele Rossetti, Raffaele Paolucci e non pochi altri. Capo di Stato Maggiore l’amm. Paolo Thaon de Revel.
Va ricordato in sintesi:
· il bombardamento dimostrativo di Ancona e di altre quattro località costiere da parte della flotta avversaria uscita in forze con le grandi navi per la prima ed ultima volta
· l’azione alleata contro le coste avversarie
· l’affondamento per sabotaggio della R.N. “Benedetto Brin” a Brindisi
· l’evacuazione via mare dell’esercito serbo in ritirata
· l’affondamento per sabotaggio della R.N.”Leonardo da Vinci” a Taranto con il conseguente “colpo di Zurigo” che smaschera ed elimina l’attività clandestina avversaria
· lo scontro navale nel Basso Adriatico
· l’affondamento della corazzata “Wien” a Trieste da parte del MAS di Rizzo
· la Beffa di Buccari
· la tentata incursione avversaria contro la base dei MAS di Ancona
· l’affondamento della corazzata “Szent Istvan” a Premuda da parte del MAS di Rizzo
· l’azione di Durazzo con impiego di navi maggiori italiane ed inglesi
· l’affondamento della corazzata “Viribus Unitis” a Pola con l’impiego di un mezzo insidioso speciale guidato da Rossetti e Paolucci.
Memorabile il salvataggio dell’esercito serbo ripiegante, nel 1915, verso i porti albanesi. La marina italiana preleva i superstiti, 260.000 uomini, 10.000 cavalli, 30.000 tonnellate di materiali, trasferendoli a Corfù e in Puglia e da qui, dopo la riorganizzazione, sul fronte macedone con base a Salonicco dove staziona l’incrociatore “Piemonte”.
Il conflitto si fa sentire in tutto il Mediterraneo e fuori di esso quale campo insidiato dai sommergibili, che hanno la base a Pola e a Cattaro per cui si provvede all’istituzione di un Ispettorato per la difesa del traffico e, nel 1918, alla chiusura del Canale d’Otranto stendendo per 66 chilometri una rete minata con ordigni forniti dai francesi, opera colossale sorvegliata giorno e notte da zone di crociera di cacciatorpediniere italiani, linee di idrofoni da rimorchio, linee ravvicinate di “drifters” (pescherecci armati inglesi) e cacciasommergibili americani. Tanto da indurre la marina austro-ungarica ad organizzare una spedizione con le grandi navi contro lo sbarramento ma con l’esito negativo di Premuda che provoca la sospensione dell’azione.
La guerra ha finalmente termine verso la fine del 1918 costando ad entrambe le parti immani massacri di uomini e la perdita di immense ricchezze, con la vittoria alleata raggiunta a caro prezzo.
La R.Marina perde 3169 uomini su di una forza salita, nel corso della guerra, dagli iniziali 46.214 fino a 145.580 uomini, e 39 unità navali. Notabile il contributo dato dalla marina mercantile, che ha trasportato un milione di uomini, 180.000 quadrupedi, 9200 automezzi, 1.200.000 tonnellate di rifornimenti con la perdita di 238 piroscafi e di 395 velieri.
Il potenziale navale italiano viene a porsi, nella graduatoria internazionale, al quinto posto dopo Inghilterra, Stati Uniti d’America, Giappone e Francia, mantenendo in servizio dopo la smobilitazione 36.500 uomini. È con la Francia che la diplomazia italiana viene lungamente ad impegnarsi per ottenere la parità navale.
Ma non si tratta ancora di una pace completa in quanto viene richiesta una presenza navale nel Bosforo, segnato dalla crisi turca conseguente alla caduta dell’Impero Ottomano, e in Mar Nero agitato dalla guerra civile russa.
Le vecchie partite vengono chiuse bene o male, ma se ne aprono di nuove, non meno inquietanti, a cominciare dai contrasti sorti in sede delle trattative di pace e per la spartizione delle flotte sia militari che mercantili dei paesi perdenti. Con la nascita del nuovo regno HSH, dei Serbi, Croati e Sloveni, nasce un ulteriore motivo di tensione pretendendo gli slavi il riconoscimento di eredi dell’intera flotta ex austro-ungarica oltre alla disparità di vedute tra gli alleati per quanto riguarda le navi mercantili. Viene istituito, ma non molto affiatato, un comitato degli ammiragli inteso a fronteggiare la situazione.
Vengono assegnati all’Italia, alla fine, 7 incrociatori, 7 cacciatorpediniere e un certo numero di unità ausiliarie (una delle quali resta in servizio come nave deposito, a Taranto, fino al 1998!) più una corazzata monocalibra destinata alla demolizione. Passa sotto bandiera italiana anche gran parte della flotta mercantile nonché tutti cantieri della Venezia Giulia, compreso il silurificio Whitehead di Fiume.
Si risolve, in Italia, la questione fiumana, si supera la crisi italo-greca sfociata nella dimostrazione navale di Corfù, si riconquista la Libia abbandonata quasi per intero durante la guerra.
S’impone anche un accordo internazionale di disarmo, il primo passo del quale prevede la riduzione degli armamenti e una “vacanza navale” o meglio le fissazioni di termini di reciproco equilibrio che si cerca di definire dalle conferenze di Washington (1922) e di Londra (1930) ma senza grandi risultati. Nasce comunque il tipo di incrociatore detto “Washington” che caratterizza le costruzioni dell’epoca, che per quanto riguarda l’Italia prende l’avvio con la classe “Trento”.
Il governo mussoliniano riapre la questione coloniale con l’Etiopia provocando una crisi con l’Inghilterra, la quale rafforza la sua presenza nel Mediterraneo di cui detiene le chiavi con Gibilterra e con Suez, con l’appoggio delle basi di Malta e d’Alessandria d’Egitto. L’Italia viene sorpresa in minimi termini nel settore delle grandi navi per cui la R.Marina cerca di correre ai ripari dando mano segretamente alla progettazione e costruzione dei mezzi insidiosi e d’assalto imprimendo inoltre impulso ai MAS veloci e velocissimi secondo varie classi S.V.A.N., Baglietto, Picchiotti, Celli, C.R.D.A. che, però, alla prova dei fatti, impiegati fuori del loro ambiente adriatico nel quale avevano operato con successo durante la prima guerra, non daranno l’esito sperato. Viene riorganizzato e potenziato il sistema cantieristico con non indifferenti carichi di lavoro.
Profilandosi nel 1935 l’intervento armato in Etiopia, si mobilita la R.Marina con la creazione di un Comando Superiore dell’Africa Orientale e con il contributo, a terra, di 50 stazioni radiotelegrafiche e del Battaglione San Marco. Vengono impiegati 110 piroscafi che trasportano 569.520 uomini, 66.931 quadrupedi, 29.391 automezzi ed oltre un milione di tonnellate di materiali e di rifornimenti con tutto il corredo di mezzi speciali natanti, zatteroni, chiatte e motobarche occorrenti, oltre alle navi da guerra in posizione di stazionamento, 2 vecchi incrociatori, 3 esploratori, 4 sommergibili, cacciatorpediniere, torpediniere, MAS e 70 batterie costiere per la difesa locale. Inoltre, vengono mobilitate nelle acque metropolitane le due squadre navali di Taranto e di La Spezia, e il naviglio silurante della Sicilia e della Libia.
L’opera di preparazione e adeguamento della flotta è conferita all’amm. Domenico Cavagnari quale sottosegretario di stato e capo di Stato Maggiore, che promuove un potenziamento generale puntando sulle grandi navi da battaglia ma non risolvendo la dibattuta questione delle navi portaerei, delle quali erano stati già elaborati due progetti.
Viene curata piuttosto l’arma sottomarina allestendo una flotta subacquea di tutto rispetto per numero e per tipo di battelli con l’opera di due progettisti principali, Cavallini e De Bernardis, ma anche in questo campo gli esiti non corrisponderanno alle aspettative per certe manchevolezze riguardanti sopra tutto la filosofia d’impiego, le tattiche, i regolamenti.
I vari si susseguono numerosi e molte le navi che effettuano, spesso, crociere in tutti i mari per mostrare orgogliosamente la bandiera. Se ne dimostra interessata la stampa nazionale, viene potenziata la Lega Navale, si organizzano grandi riviste navali in onore di capi di stato esteri, dell’amm. Horty, reggente d’Ungheria e già comandante in capo della flotta austro-ungarica, del cancelliere tedesco Hitler.
Non mancano in sede divulgativa gli scrittori quali Vittorio G.Rossi e lo storico e critico navale Fioravanzo, gli ammiragli Bernotti e Di Giamberardino, autorevoli esponenti del pensiero navale, nonché i pittori con in testa Rodolfo Claudus (Rudolf Klaudus), già giovane ufficiale della marina austro-ungarica che diviene pittore ufficiale della marina italiana. La letteratura marinara trova diffusione per impegno principalmente delle case editrici Salani e Alfieri-Lacroix , nel 1937 è la stessa Accademia d’Italia a prestarsi in sede culturale curando l’edizione del Dizionario di Marina, opera monumentale di 1360 pagine con molte illustrazioni divulgative.
Con la nave da battaglia “Vittorio Veneto”, interessante progetto del valente generale del Genio Navale Umberto Pugliese, si riprende la costruzione delle grandi navi in esecuzione di vecchie clausole risalienti agli accordi del dopoguerra, che ne hanno riconosciuta la facoltà a copertura delle perdite subite. Ma il momento è delicato e si rompe l’equilibrio in atto tanto più che anche la Germania hitleriana ha imboccato la via del riarmo.
Iniziata la guerra civile di Spagna, alcune unità partecipano alla difesa di Maiorca, viene costituita a Cadice la missione navale italiana chiamata in codice “Esigenza OSM”, prendono il mare diverse unità e due incrociatori vengono mandati a Tangeri in posizione stazionaria.
Nel 1939 segue l’occupazione dell’Albania con l’impiego di diverse navi delle basi di Taranto e di Brindisi ponendo il canale d’Otranto e conseguentemente l’Adriatico sotto pieno controllo italiano.
I disastri e gli incidenti con il coinvolgimento delle navi sono connaturati alla storia della marineria di tutti i paesi e sollevano sempre viva impressione nell’opinione pubblica. Anche la R.Marina, sempre in movimento con tanti mezzi e tanti uomini, lamenta la sua parte di fatti spesso luttuosi per fatalità, guasto meccanico, errore umano. Nel 1913, il nuovissimo incrociatore corazzato “San Giorgio” investe la costa presso Messina e rimane tenacemente incagliato tanto da richiedere impegnativi lavori per la rimessa a galla. Finisce in costa, nel 1925, anche l’incrociatore “Bari”. L’esploratore “Rossarol” in viaggio verso Fiume urta, nel 1918, una mina con perdita totale della nave e dell’equipaggio. Il cacciatorpediniere “Muggia si perde in navigazione verso Shanghai, nel 1929, per urto in acque infide contro uno scoglio. Sono i sinistri toccanti i sommergibili, che impressionano di più, come l’incidente incorso nel 1909 al “Foca” nel porto di Napoli, la perdita totale del “Veniero”, speronato da un piroscafo nel Canale di Sicilia (1925), e dell’ “F-14" speronato da un caccia di scorta durante un’esercitazione nel Canale di Fasana presso Pola (1928) con perdita totale dell’equipaggio. La malasorte tocca, negli anni trenta, anche a due MAS. Nel 1977 il lutto colpirà tutta la prima classe dei giovani allievi dell’Accademia Navale a seguito di incidente aereo.
Un fatto che passa quasi inosservato tra le tante tensioni politiche, ideologiche, economiche, sociali e militari, che caratterizzano questo periodo anche fuori del Mediterraneo, è la lunga guerra cino-giapponese che impone la presenza nelle acque cinesi di navi stazionarie italiane oltre alle due cannoniere fluviali “Lepanto” e “Carlotto”, impiegata quest’ultima in un difficile viaggio di risalita dello Yang Tze Kiang.
Appare evidente constatare come la R.Marina sia chiamata a rivestire un ruolo non solo militare ma anche rappresentativo di primaria importanza disponendo ormai di una flotta di tutto rispetto, ma non vengono intese e risolte in qualche modo questioni destinate a rivelarsi esiziali alla prova dei fatti:
· l’impiego dell’arma sottomarina con criteri operativi aggiornati
· l’inadeguata o mancante copertura aerea delle operazioni navali
· la mancata pratica del tiro notturno con i grossi calibri e l’eccessiva dispersione delle bordate
· deficienza nelle apparecchiature elettroniche di scoperta e localizzazione dei bersagli.
Problemi non ignorati ma irrisolti o per difformità di vedute dottrinarie o per scarsa potenzialità industriale.
La tipologia delle navi militari, frutto di complesse operazioni di compromesso tecnico in fatto di velocità, autonomia, armamento, protezione, stabilità di piattaforma, si considera divisa in categorie che, in realtà, non possono essere rigide, con suddivisioni spesso convenzionali, che in sede operativa non corrispondono sempre alla categoria di progetto. In altri termini, le navi tendono alla polivalenza e nascono nuovi tipi quali la corvetta, la fregata, la motosilurante, la motozattera, nata questa come mezzo da sbarco ma impiegata dalla R.Marina in utilissimi servizi di trasporto e cabotaggio.
Ogni potenza marinara costruisce le sue navi nei propri cantieri secondo propri progetti mettendo a frutto i grandi progressi verificatisi nella fisica, nella chimica, nella siderurgia con applicazioni straordinarie. Ne consegue che esse risultano riconoscibili pressoché a prima vista grazie alle caratteristiche esteriori, talvolta molto spiccate come, ad esempio, nelle navi giapponesi con le alte e complicate loro “pagode”. Si fanno subito notare in questo periodo anche le navi uscite dai cantieri italiani. Qualcuno si sarà soffermato a considerare il lato “estetico” quale elemento di un’architettura ben identificabile, che non deriva da una ricerca estetizzante, che è fuori luogo in un campo che ben altro richiede, ma che costituisce una specie di ricaduta spontanea connaturata alla cultura e al carattere della nazione.
Giunta per ultima nell’agone internazionale, l’Italia guadagna posizioni di prestigio, conquista primati mondiali come ad esempio nei MAS della categoria “velocissimi”, con l’esploratore “Tashkent” realizzato per la marina dell’URSS (con la quale la R.Marina mantiene rapporti riservati e pertanto sconosciuti ai più).
L’Italia fornisce navi militari e mercantili alla Svezia, Finlandia, Romania, Turchia, Spagna, Siam, Argentina, Giappone e prototipi alla stessa Inghilterra e alla Germania (e, nella seconda metà di questo secolo, alla Danimarca, Venezuela, Libia, Iran, Iraq, Bolivia), indice di una posizione non più secondaria o trascurabile.
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