7. Nave veneziana dal mosaico di San Marco, secoli XII – XIII, ricostruzione ipotetica di nave molto in velata alla latina, su tre alberi, di buona capacità di carico, dalle line filanti e snelle, quindi da presumere molto veloce. Nascono a poppa le soprastrutture (paradisus), ma non ancora come parte integrante dello scafo. È evidentemente la nave dei traffici con il Levante, capace di resistere al vento forte è il mare grosso.
8. Nave veneziana dal mosaico di San Marco, secoli XII- XIII. Compare in questo esemplare, è in altri tre visibili nella basilica veneziana, una caratteristica molto particolare, che si perpetuerà nel trabaccolo, nella brazzera e nel bragozzo sino ai nostri giorni: la prua rigonfia e invasata non che la vela con il “naso” anteriore tagliato, cioè con notevole caduta prodiera, un sensibile progresso nella manovra. Le forme rivolsi e favoriscono la capacità di carico sia pure a discapito della velocità.
9. Cocca di Sigismondo Malatesta, ricostruzione del bassorilievo della Cappella dello Zodiaco al Tempio Malatestiano di Rimini (1452). Siamo di fronte ad una vera e propria rivoluzione nautica, iniziata il secolo prima, con l’adozione anche nel Mediterraneo di un tipo di naviglio assai diverso da quanto fin qui vista, con vela quadra munita di bolina e timone singolo incernierato sul dritto di poppa. Naviglio molto efficiente e pertanto di larghissima diffusione, attestato da un numero senza precedenti di illustrazioni artistiche (incisioni, graffiti, pitture, disegni, bassorilievi ecc.). Il tipo viene adottato anche dai Veneziani con successivi sviluppi.
10. Cocca veneta, adattamento del tipo con alcune modifiche: la prua invasata, grande vela quadra su albero inclinato verso prua, con calcese, piccola vela latina poppa per equilibrare il centro velico e migliorare le qualità evolutive, molto utili in bracci di mare ristretti per presenza di bassifondi o di isole.
11. Galeone veneziano, ricostruzioni dalle tele di Vittore Carpaccio (1465-1525). Il tipo di nave ponentina, entrato nell’Adriatico grazie alle sue doti particolari non presenti nel naviglio autoctono, trova la massima espressione nel galeone mercantile. Fiorisce nel 1500 ma poi cede del campo dati gli alti costi e l’impossibilità di ingresso della marineria adriatica, salvo in parte quella ragusea, nei mari oltre Gibilterra dove il galeone ha il suo ambiente naturale, espressione delle potenze mercantili inglese, olandese e spagnola. Simbolo di forza, anche il galeone ha trovato ampio spazio nella rappresentazione artistica. 11B Caracca veneta, ricostruzione del bassorilievo del XVI secolo, Museo Storico Navale di Venezia. È il tipo di nave mercantile più grande, a tre e quattro alberi, che compare nelle incisioni di Jacopo de’ Barberi. Di costruzione massiccia e pesante, nel corso del 1600 e lascia il passo a tipi più funzionali. Vedi bassorilievo nel Museo dell’Arsenale (1892) dal Palazzo Priuli della Nave (Cannaregio).
12. Galera da mercanzia, ricostruzione del graffito della Prigione IV nei Pozzi di Palazzo Ducale, denunciante non la mano di un artista ma di un marinaio, che ha conosciuto bene il tipo di nave. L’adattamento della galera, tipica nave da guerra mediterranea, alle operazioni commerciali non è stato molto raro, ma non vitale. Da notare il grande sviluppo velico su tre alberi e la vela quadra di prua in funzione di civada onde consentire il massimo sfruttamento dei venti, prevalente sul remeggio. La galera è stata comunque nave di diversi impieghi e di diverse grandezze, perlopiù ad un albero (galea sottile veneziana), ma anche a due o tre alberi (ponentina, bastarda, turchesca). Il suo sviluppo si arresta con la galeazza veneziana.
13. Marciliana, o meglio Pandora che è la marciliana minore, ricostruzione da un’incisione di Gueroult du Pas (1710). È il bastimento mercantile veneziano molto usato per le doti di economicità e praticità di esercizio, adatto alla ristrettezza dei bacini marittimi frequentati, con notevole velatura. Diffuso tra il 1600 e il 1700, cede il passo sul finire del secolo al pielego, al trabaccolo e al naviglio d’influsso ponentino.
14. Marciliana, ricostruzione del bassorilievo motivo del Perasto (Bocche di Cattaro) dell’anno 1700. La stazza è in questo esemplare maggiore per cui la velatura, sempre su tre alberi, e notevolmente frazionata. Tipica è, oltre alla forma assai slanciata e lo scafo, la velatura del primo albero tenuto inclinato a ridosso della ruota di prua, caratteristiche delle marciliane.
15. Marciliana o Pandora, ricostruzione da un disegno del Civico Museo Correr di Venezia, secolo XVIII. Naviglio di piccolo tonnellaggio denunciante la semplificazione della velatura è il passaggio per grado intermedio a nuovi tipi. Naviglio adatto al cabotaggio minuto a bassa redditività. Adattata alla vela da Trabaccolo.
16. Pandora, ricostruzione da un disegno del Civico Museo Correr di Venezia, secolo XVIII. Naviglio ancora più piccolo e differenziato nelle velature dall’adozione della vela latina sull’albero di prua. Il tipo denuncia la ricerca di soluzioni intermedie mediante adattamenti mutuati da altri tipi vecchi o emergenti. Non è da escludere che questo naviglio abbia portato in origine la vela latina anche sugli altri due alberi come nello sciabecco, che è tipico della marineria moresca.
17. Polacca, naviglio molto diffuso nel Mediterraneo nel corso del 1700 è presente in buon numero anche in Adriatico sotto bandiera veneta. È in attività – pur non apparendo tipo di costruzione ed esercizio molto economici – ancora nei primi decenni del 1800 a prestar fede ai pittori di Marina, specie nella casa Roux, che amano animare le loro tele anche con le polacche.
18. Checcia o Checchia, naviglio che comincia a diffondersi nel 1700 quale progenitore del brigantino (da non confondersi con l’omonima barca a remi ed una vela) come denunciato non dalle forme dello scafo ma dalla velatura. Naviglio destinato ad una grandissima diffusione sia nella navigazione di cabotaggio che in quella di altura, anche oceanica.
19. Tartanone, ricostruzione da un piano settecentesco (“Dimostracione d’un bastimento di trasporto e come devono esere matato nela Fig.r 4 ”) da …… È il tipo di naviglio tipico della marineria pontificia, molto diffuso in tutto il Mediterraneo, di origine ponentina, ma non sconosciuto ai veneziani. In talune aree di mare è stato impiegato anche con funzioni miste (cabotaggio, pesca e traghetto.)
21. Cabotiero anconetano, ricostruzione da una incisione del XVI secolo. L’affermarsi delle marinerie maggiori, con tutti i risvolti monopolistici costituenti ostacoli insuperabili da parte delle marinerie minori, ha costituito la spinta verso il naviglio adatto ai traffici minori di cabotaggio. Ne esempio questo tipo di naviglio di Ancona di retaggio levantino ma con l’inusuale vela di civada, che è tipica della cultura marinara ponentina o atlantica.
22. Barcaccia o sciabecco veneziano, ricostruito sulla base della testimonianza reperibile nella veduta del Bacino di San Marco (Boston, Museum of Fine Arts) di Antonio Canal detto il Canaletto (1697-1768). È Chiara la derivazione dallo sciabecco moresco, che ha trovato diffusione in gran parte del Mediterraneo. Dato il rapporto tra lunghezza e larghezza rilevabile dalla testimonianza del Canaletto, trattasi di un adattamento per il trasporto delle merci a discapito della velocità. Siamo in presenza del tramonto di un tipo di naviglio concettualmente superato, che aveva avuto la sua ragione di esistenza nella maneggevolezza e nella corsa. Corrisponde anche alla martingala.
23. Feluca presente anch’essa nella veduta del Bacino di San Marco del Canaletto. Trattasi di un tipo più piccolo della barcaccia, a due alberi. Rappresentano gli epigoni di un settore assai particolare della marineria mediterranea orientale ormai verso tipi ed impieghi ben diversi. Simile alla galeotta da mercanzia.a
24. Trabaccolo, ricostruzione da un disegno dell’Archivio di Stato di Venezia. Sta facendosi strada da tempo un tipo di naviglio adatto al piccolo cabotaggio con esercizio economico destinato ad un impiego generalizzato in tutto l’Adriatico. Prende forma a poco a poco, prova e cambia attrezzature diverse per assestarsi al fine su scafo rigonfio e grande vela il terzo su due alberi con polaccone o fiocchi per arrivare sino ai giorni nostri. L’esemplare qui raffigurato porta sulla prua una vela “alla marciliana” Latina e appartiene pertanto allo stadio iniziale.
25. Trabaccolo triestino, ricostruito sulla base di una stampa acquarellata del Settecento. Trattasi forse di denominazione impropria, il tipo non trova riscontro o parentele con altri navigli, deve considerarsi autoctono e pertanto interessante anche se non vitale. La forma dello scafo priva di slanci denuncia buona capacità di carico a scapito della velocità ed è questo un punto di contatto con Trabaccolo vero e proprio. Da notare le due vele quadrate del tutto inusuali del naviglio settecentesco.
26. Trabaccolo settecentesco, ricostruito da una veduta di Parenzo di Giovanni Valle (1775) già nell’Archivio Provinciale dell’Istria. Da notare, per inciso, che in questa veduta si scorge anche un naviglio simile a quello descritto nel numero 24. È già molto simile sia nella velatura (mancante e tutta via della vela inferiore) che nelle forme pieno dello scafo prua invasata al Trabaccolo classico. Notevole la persistenza della vela di civada al posto del polaccone.
27. Trabaccolo anconetano ricostruito sulla base di una figurazione in margine alla “Nuova Carta Geografica dello Stato pontificio” edita nel 1824. Scafo arieggiante ancora quello del tartanone settecentesco con velatura accostabile a quella del Trabaccolo con una specie di gabbiola sul secondo albero. Si tratta forse di un tipo di transizione.